“Zio Frank”. Una recensione
“Zio Frank” è un film del 2020 diretto da Alan Ball e interpretato da Paul Bettany e Sophia Lillis. Frank Bledsoe è un docente di letteratura nato in uno sperduto centro rurale della Carolina del sud e vive a New York con il compagno Wally. Il suo orientamento sessuale è una cosa inconcepibile nel posto da cui proviene; i suoi familiari non sanno di lui o almeno questo è quel che lui crede.
È il 1969 e tutta la famiglia è riunita per festeggiare il compleanno del patriarca, Mac; la giovane Beth stravede per lo zio perché è diverso dagli altri: è profumato, ha le unghie pulite e curate, è un letterato, un intellettuale, “era l’unico adulto che mi guardava negli occhi.”, dice la sua voce fuori campo. È lui a dirle che non deve aver paura di essere ciò che è e la spinge a valutare l’ipotesi di andare all’università; Beth segue il suo consiglio e dopo il college si trasferisce a New York per studiare nello stesso ateneo in cui lui insegna.
Quattro anni dopo Frank riceve una telefonata dalla madre, il vecchio è morto, ma lui non vuole andare al funerale; parte il flashback, un giovane liceale si innamora di un ragazzo, il padre lo scopre a letto con lui e lo terrorizza: “Non voglio più che tu veda il giovane Lassiter. Se scopro che lo vedi ancora uccido entrambi. In questo modo ti stai giocando l’anima figliolo, ti stai aprendo alla depravazione. Vuoi essere una checca? Mh? Un finocchio? Quella è perversione.” Frank non si riprenderà mai più dal trauma e inizierà a bere.
Il punto di svolta della vicenda è il pranzo dopo le esequie: i familiari si riuniscono davanti a un ricco buffet di pietanze fatte in casa; quando l’avvocato legge il testamento Frank apprende che il padre gli ha lasciato in eredità il suo crudele outing. Sconvolto, scappa via, è ubriaco marcio, la disperazione lo conduce nel luogo in cui tutto era cominciato, in cui si era innamorato, prima della vergogna, prima del dramma.
“Zio Frank” è un film sì drammatico, ma con diversi momenti di levità capaci di stemperare il dolore. Alan Ball ha strutturato la pellicola in modo da farne un Road movie e una storia di formazione nello stesso tempo: Beth considera lo zio un mentore, un modello da seguire e quando la morte del nonno la costringe a tornare a casa in macchina, “mamma mi strozzerebbe se prendessi un aereo.”, il viaggio si rivela il mezzo ideale per rafforzare il suo legame con lui e scoprire altre affinità elettive. Durante un’intervista Paul Bettany ha affermato che viaggiare in macchina è bello perché si ha molto tempo per parlare e di tempo zio e nipote ne hanno avuto tanto, mentre attraversavano cinque stati per tornare a casa.
Nel film l’outing riveste un ruolo fondamentale, poiché è grazie a quell’atto di cattiveria feroce che Frank può infine smettere di tormentarsi e affrontare la famiglia da adulto responsabile, con meno peso sul cuore e una maggiore consapevolezza.
“Zio Frank” è ambientato tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, quando il movimento per i diritti LGBTI era appena nato, ma l’omosessualità era ancora punita dalla legge, motivo per cui il protagonista si raccomanda con il suo compagno affinché non si lasci andare a effusioni in pubblico, ma è proprio Wally a rendere la narrazione più leggera, capace com’è di attenuare la tensione con la sua premurosa dolcezza e la sua saggezza. Con una battuta che fa venire in mente le parole di Ilaria Occhini in “Mine vaganti” di Özpetec, “La terra non può volere male all’albero.” dice a Frank, riferendosi ai suoi parenti stretti: “Tu discendi da loro, non possono essere così male.” e lo lascia ammutolito e pieno di stupore.
“Zio Frank” è un film riuscito che deve molto non solo al tema trattato, ma anche alla bravura delle e degli interpreti; va dritto al punto e parla di responsabilità e di crescita, della paura e del coraggio necessario per affrontarla. “Sapere chi sei ti dà potere.” dice Bettany, il potere di vivere come persone autentiche senza doversi vergognare per quel che si è.