Viene dal Sudafrica il probabile progenitore dell’Homo Sapiens
Lo ha rivelato durante i primi giorni di aprile 2010 fa la rivista “Science” ed è ufficiale, l’essere preistorico denominato “Australopithecus sediba” potrebbe rappresentare l’elemento di congiunzione fra tutti gli Australopitechi ritrovati fino ad ora e l’Homo Habilis (vecchio di 2,5 milioni di anni).
Si tratta senza dubbio di una nuova specie di ominide che condivide molte caratteristiche in più con l’Homo Sapiens rispetto agli altri Australopitechi. Dobbiamo questa fondamentale scoperta al professor Lee Berger, paleo–antropologo dell’Università di Witwatersrand (Sudafrica), il quale ha rinvenuto i resti ossei dell’Uomo di Sediba all’interno di una grotta (la caverna di Malapa, che si trova pochi chilometri a nord di Joannesburg) facente parte di una zona piena di antri a struttura calcarea denominata “Culla dell’Umanità” (Cradle of Human Kind) in quanto sede di precedenti scoperte analoghe, come l’”Australopithecus africanus” e il “Bambino di Taung”, la cui età si situa in modo approssimato intorno ai tre milioni di anni fa.
In realtà i resti ritrovati dal gruppo di studiosi del professor Berger appartengono a due persone distinte, un bambino di un’età compresa fra gli undici e i tredici anni e una donna intorno ai trent’anni. Ad una più attenta analisi della struttura ossea del bambino ci si è accorti quindi che il nostro probabile progenitore aveva un’andatura ben più eretta rispetto alla famosa Lucy (”Australopithecus afarensis”), più vecchia di un milione di anni, i cui resti fossili vennero ritrovati negli anni ’70 in una regione dell’Etiopia.
Inoltre in comune con l’Homo Habilis avrebbe pure parti del cranio e del bacino. Attenzione però a definire questo ominide l’anello mancante fra l’essere umano e la scimmia, in quanto così non è. Si tratta di un concetto superato che vedeva, nell’Ottocento, l’evoluzione umana come qualcosa di lineare. Le più recenti scoperte e gli studi ad esse collegati hanno invece dimostrato che la storia dell’evoluzione scimmia/uomo è ben più complessa ed è fatta di tante ramificazioni di cui, con tutta probabilità, mai si conoscerà l’inizio. Questo accade perché il groviglio di rami – uno dei quali è occupato proprio dall’”Uomo di Sediba” – si snoda lungo un arco temporale di circa sei milioni di anni. Se proprio vogliamo parlare di anello mancante o meglio di elemento di congiunzione, possiamo riferirci all’”Australopithecus sediba” come ad un ominide più evoluto rispetto ai suoi predecessori che non aveva più bisogno di arrampicarsi più sugli alberi a causa della posizione eretta.
Il luogo del ritrovamento si trova ad una cinquantina di metri sotto il livello della grotta e, siccome i resti umani, rinvenuti insieme a quelli di diversi animali, presentano una decomposizione solo parziale, si presume che la caverna sia stata sommersa dall’acqua e dal fango, preservando così i corpi del bambino e della donna che devono essere precipitati sul fondo del sito.
L’eccezionalità della scoperta è dovuta proprio a questa caratteristica di completezza degli scheletri e alla loro ottima conservazione, il che ha permesso di stabilire proprio che l’ominide aveva raggiunto la posizione eretta. In lingua Sotho, quella che si parla nella zona di Sterkfontein, sede del ritrovamento, “Sediba” significa “fonte”, a causa dell’importante ruolo che ricopre questo essere preistorico nell’intricato albero genealogico del Genere umano, all’interno del quale sembra perdere sempre più di significato persino il concetto di specie, dal momento che lo studio del DNA degli esseri preistorici ritrovati fino ad ora permetterà di trovare risposte sempre più esaustive alle domande che da sempre ci poniamo in merito alle nostre reali origini. E chissà che, infine, persino i più irriducibili razzisti non vengano messi a tacere, qualora la scienza dovesse dimostrare in modo incontrovertibile che gli esseri umani sono tutti imparentati fra di loro.