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Un’esplosione nucleare nel cervello

di Lidia Borghi


Fabrizio Paoletti, fiorentino, cinquantenne, attivista arcobaleno, ingegnere elettronico, padre, compagno ed omosessuale. Vuoi presentarti a chi ci legge?

Classe 1965, studi classici contrapposti alla laurea in ingegneria, un lavoro nell’informatica dei sistemi e servizi di sicurezza ed informazione stradale, lavoro impegnativo e stimolante, un ideale di vivermi in una dimensione familiare, scelta fatta quando ero molto piccolo, una difficoltà a riconoscere in me e a dare nome all’intensa emozione che provavo nel vedere alcuni ragazzi e che mi muoveva dentro, una profonda affinità e affettività condivisa con una ragazza che diventò compagna intima e profonda del percorso della mia vita, poi moglie e poi madre di mia figlia, rendendomi al contempo padre entusiasta; una volta riconosciuta in me ed accettata la mia omosessualità, sono anche un padre gay, e sono stato il compagno dei pochi uomini ma importanti che hanno affiancato il mio percorso di vita in questi anni, per essere oggi un uomo sufficientemente sereno, genitore e compagno del mio uomo, più consapevole di me, delle mie forze e delle mie carenze, con l’aspettativa di poter vivere in un mondo più accogliente, dove la mia storia avrebbe avuto oggi dei risvolti diversi, più sostenibili, meno devastanti rispetto ai percorsi in salita e ai muri che mi sono trovato davanti nella mia vita.

Tutto quanto detto finora rappresenta soltanto quello che io sono stato, che mi sono trovato ad essere e a dover affrontare: non rappresenta quello che io sono e più precisamente quello che ho avuto la capacità ed il bisogno di agire. Vedo invece davanti a me ancora oggi un futuro tutto da scrivere per la scoperta del Fabrizio futuro che ancora sta lavorando per tracciare la strada per la quale poter venire alla luce. Il che, all’età di 50 anni, mi fa sentire ancora tutto da fare e da scoprire; sono convinto che quello che farò negli anni a venire sarà sicuramente bello e stimolante, che abbia ancora molto da conoscere e imparare e questa è una delle poche certezze a cui sono arrivato in tanti anni, da poter vivere e godere con una consapevolezza che potrà solo migliorarsi ed approfondirsi.


A che età prendesti coscienza della tua appartenenza ad un altro orientamento affettivo e sessuale? Che accadde?

il mio ricordo più antico risale ai 5 anni, in quella età ricordo che provavo una emozione strana, direi un languore che sentivo dentro vedendo un paio di bambini di poco più grandi di me, compagni di classe di mio cugino: c’era un interesse e una profonda ammirazione per alcuni tratti del loro volto e del modo di esser di quei due bambini che mi faceva provare il desiderio di essere simile a loro crescendo. Quella sensazione mi ha accompagnato negli anni, la provavo per alcuni bambini e poi ragazzi, insieme ad un interesse di tipo diverso, come di dolcezza e protezione e sicurezza, che sentivo nei confronti di bambine e ragazze fino all’adolescenza e più. L’attrazione per il maschile era prevalente, anche se alle medie provai qualcosa di intenso per alcune compagne, cosa che non mi dispiacque: fu in quegli anni che conobbi la mia futura ragazza, fidanzata e moglie, e con lei nacque una profonda affinità e intesa, una grande complicità e condivisione, che mi fecero sentire completo e compreso. C’è da dire che il fatto di avere nel mio futuro dei figli e una famiglia mi avevano sempre portato a considerare l’idea che accanto a me ci sarebbe stata una donna, dato che io ero un maschio e dei figli li avrei potuti avere solo con una donna e poi devo aggiungere che nella mia famiglia di origine c’era una marcata separazione che individuava ciò che doveva fare un uomo a differenza di una donna e certamente fra le aspettative rispetto al mio ruolo di maschio c’erano tutte quelle delle prerogative maschili relative alla presunta superiorità dell’uomo rispetto alla donna, una cosa che sentivo molto profondamente a livello interiore che derivava dal clima familiare e sociale in cui vivevo ovvero che essere maschio era una fortuna ed un privilegio, rispetto al nascere femmina. Ero un bambino di 6-7 anni e ricordo perfettamente che a tavola mio padre in modo molto perentorio affermava: “Se avessi avuto un figlio finocchio lo avrei ammazzato di pedate”. Ora io non so che cosa scatenasse in mio padre la necessità di uscirsene con la violenza di queste affermazioni, ma con la consapevolezza di oggi ho compreso che con quella frase mi intimava qualcosa nel profondo: “tu non devi essere te stesso”; io sentivo che la cosa allo stesso tempo mi colpiva, ma non mi riguardava, e certamente dette adito dentro di me al negare a me stesso tutto quello che poteva portare quell’essere “finocchio”, a cui io ho potuto rispondere negli anni solo ignorando quella emozione forte che provavo dentro alla vista di un ragazzo, una emozione che dovevo recidere e anestetizzare, per permettermi di poter vivere nella mia famiglia sperando di poter essere accettato. Oggi posso finalmente riconoscere che questo modo di essere di mio padre e la mancata reazione rispetto a questo di mia mamma, hanno rappresentato per me una violenza che ho sentito forte nel nostro ambiente familiare, violenza che anche mia madre subiva rispetto al ruolo di essere donna nei confronti di mio padre, che esercitava in tutti gli ambiti possibili la funzione del maschio padre e padrone (e padrone di vita e di morte). Questa emozione profonda io la provavo a volte per certi ragazzi, ma la negavo allo stesso tempo, come negavo chi mi chiamava “buco” alle medie, con la c aspirata fiorentina, buho, a cui io rispondevo a fatica senza ribellarmi, perché io non mi identificavo nel tipo di maschio ragazzaccio e un po’ bullo come la media dei ragazzi che conoscevo, ma ero introverso, sensibile, mi tuffavo nella musica, nel pianoforte, nella preghiera, nella lettura e nello studio, coltivai negli anni i miei punti di forza come quello di diventare un bravo studente, attento, desideroso di imparare e “naturalmente” eccellente, un po’ per sensibilità, con gli anni che trascorrevano e non mi accorgevo quanto io agissi invece per “necessità”. Diventa allora difficile rispondere in merito al quando io mi sia scoperto, non potevo certo definirmi omosessuale quando ero fidanzato e progettavo la mia vita con la mia ragazza, con un futuro insieme di figli e nipoti; avevo la consapevolezza di non essere eterosessuale, ma al più potevo dirmi bisessuale, dato che quello che provavo lo sentivo, ma avevo una donna e “volevo” (“potevo solo avere”) una donna nella mia vita. Ma omosessuale proprio non lo ero, anzi, in realtà io i gay mica li capivo: se io avevo trovato una donna anche gli altri ragazzi avrebbero potuto trovarla, basta trovare la persona giusta, come avevo trovato io, una ragazza a cui attribuivo doti e caratteristiche maschili, mentre io mi sentivo molto più interiormente femminile. Il nostro era un equilibrio perfetto. In realtà per un periodo della mia vita ho provato una profonda avversione per gli omosessuali, che buttavano la loro vita, invece di trovarsi una compagna e metter su famiglia. Dopo la gravidanza – bellissima – e la profonda gioia provata alla nascita di nostra figlia, vivemmo con la mia ex un periodo di forti attriti e contrasti, soprattutto dovuti alla impostazione della vita familiare e con la difficoltà di conciliare i pochi spazi che rimanevano a lei rispetto all’impegno del lavoro in cui era stata inserita. Conflittualità forte per mesi, insieme a momenti bellissimi di condivisione della crescita della nostra cucciola e stato di profonda frustrazione rispetto alle nostre dinamiche. Quando fui consapevole di un conflitto troppo esacerbato da parte mia, era già il momento in cui lei si era innamorata di un altro uomo. La sofferenza mia per la separazione era dovuta soprattutto alla piccola età di nostra figlia, tre anni e mi sconvolgeva il fatto che Lavinia avrebbe vissuto con genitori separati. Allo stesso tempo mi era presente che, se ci fossimo separati, avrei potuto fare esperienza di quella dimensione affettiva maschili che cullavo nei più segreti ripostigli della mia anima, liberandomi da quel vincolo di fedeltà verso di lei che mi aveva impedito negli anni di metterla in pratica. La scelta non fu mia, almeno non la scelta consapevole, ma fu lei a decidere di voler vivere con l’altro uomo. Il dolore dell’abbandono fu prevalente nei primi mesi, ma presto liberai quel sogno che avevo tenuto compresso dentro e trovai il modo di entrare in contatto con quel mondo che sentivo viveva dentro di me. Era il 2002 e internet era già disponibile e facilitava la possibilità di un contatto. Il primo bacio dato ad un ragazzo fu una esplosione nucleare nel cervello, una consapevolezza di pienezza totale, la potenza di un sole che era rimasto isolato in un buco nero del cuore e che finalmente trovava la sua dimensione e il suo pieno respiro. Ecco, mi ci volle ancora del tempo per accettarmi completamente, ma quella prima esplosione me la ricordo sempre come fosse adesso.


Insieme a Cecilia d’Avos sei co-presidente dell’associazione Rete Genitori Rainbow. Quali sono le attività del vostro gruppo, che ha socie e soci in tutta Italia? Quale il vostro fiore all’occhiello?

Genitore e gay, è stato per me un ossimoro per anni: “Sei gay ed hai una figlia?” che reazioni portava questa constatazione? “Mi spiace per te”, “Cavolo, che sculo”, “Te la sei cercata!”, “Cavoli tuoi!”, “A me le persone bugiarde fanno schifo!”, “Hai mentito e ora che pretendi!”. Valanghe di giudizi, pregiudizi, violenze, unite al fatto che io stesso sentivo inconciliabile il fatto di avere una figlia e di esser omosessuale ed avere un compagno. Mi ci sono voluti degli anni per poter considerare questa cosa possibile e comprendere che la cosa più importante per mia figlia poteva essere che suo babbo fosse completamente se stesso di fronte a lei. Gli stessi ragazzi che frequentavo e di cui mi ero innamorato, escludevano la possibilità di dirle che la persona che era vicino a me non era semplicemente un amico, ma il mio compagno, il mio amore. Allora, dopo aver fatto questo passaggio io stesso con grande fatica e dopo aver compreso, insieme a Cecilia, Valentina, Alessandro e altri con cui eravamo stati in contatto, quanto era stato importante avere il confronto con altri genitori nel momento della nostra scoperta e accettazione, che avessero già fatto questa esperienza, abbiamo deciso di dar vita a dei servizi specifici, con una associazione a supporto, servizi di volontariato basati sull’ascolto, l’accoglienza, il non giudizio. Un sito informativo ed un forum innanzitutto e poi, col tempo, la potenza degli incontri dal vivo dei nostri gruppi di auto-aiuto, con cui le persone possono entrare in contatto con altri che stanno attraversando o hanno attraversato gli stessi passaggi, con l’ampliamento della consapevolezza che porta l’ascolto delle storie uguali ma diverse che ciascuno di noi ha vissuto e vive, con le diverse scelte nei differenti contesti, mille storie uguali e tutte significativamente diverse e preziose per ciascuno di noi.


Media e linguaggio LGBTQ+: La tua laurea in Telematica e Comunicazioni ti porta a scontrarti ogni giorno con il problema che i media hanno nel riferirsi in modo rispettoso e preciso alle persone LGBTQ+: quanta volontà c’è di ferire e quanta ignoranza o difficoltà nel trovare il giusto linguaggio, nelle loro parole?

ho scelto il mio indirizzo di laurea per un forte interesse per la potenzialità della comunicazione: codificare l’informazione nel messaggio e immetterla nel canale di trasmissione offre il potere di trasferirla da un luogo ad un altro e da un essere umano verso altri esseri umani potenzialmente infiniti, con le nuove tecnologie che rendono facilissimo l’accesso alle informazioni e le dilatano nel tempo. Ma il codice usato non è asettico, la modalità di codificare e quella di decodificare una informazione è alterata dalla soggettività, dalla latitudine, dal clima politico, dalla cultura, dalla conoscenza. È impossibile trasmettere una informazione su un canale reale senza distorcerla e tradire il contenuto originale e chi la riceve la assume con altro significato sulla base spesso della propria decodifica, che non può non prescindere dalla personale pregressa informazione e conoscenza. Se il sistema decodificatore non ha la chiave giusta, non può leggere che in modo errato il messaggio trasmesso e l’intenzione e il pensiero di chi lo ha formulato in origine. C’è il rischio e la possibilità reale che sia quasi impossibile comunicare e dialogare, ma per fortuna l’essere umano è dotato di strumenti di consonanza ed empatia. Ecco allora che le persone realmente possono comprendersi se, aldilà del senso scritto delle parole, si mettono in ascolto della vibrazione interiore che abita quel flusso di informazioni codificate, non stando rinchiusi in sé, ma rivolgendosi all’altra o all’altro, sintonizzandosi per assumere in sé il sistema di codifica che l’altra persona sta usando. Non è impossibile comunicare, ma è facoltà da dover esser allenata con cura e attenzione, mettendo da parte in un primo momento i propri significati per accogliere realmente la persona diversa da noi che abbiamo davanti. Chi è veramente questo uomo o questa donna omosessuale? Cosa prova? Che ha pensato quando si è resa conto per la prima volta che non era attratta da persone dell’altro sesso? Come non si è riconosciuta nella maggioranza scontata che sembrava popolare il mondo? In che modo avvertiva la stonatura di quello che sentiva dentro di sé rispetto a quanto riceveva come comando di sintonizzazione generale da tutto il resto del mondo ? E cosa provava questa persona che non si sentiva appartenere al genere dettato dal sesso biologico che tutto il mondo le attribuiva? E cosa prova una persona che ha dei genitali diversi e non codificabili in un senso o nell’altro dell’alfabeto binario M/F che non ammette vie di mezzo? Ecco, occorre riuscire a mettersi nei panni dell’altro, senza giudizio, cercando sinceramente di comprendere l’altro, pur rimanendo bene consapevoli della propria identità e unicità e differenza, senza escludere, stigmatizzare o svalutare l’unicità e l’identità altrui. Per quello che leggiamo sui giornali sembra evidente che il mestiere del giornalista non venga svolto nella ricerca di comprendere l’altro e di considerare la vita reale delle persone, che vengono invece ingabbiate e classificate per stereotipi con l’attenzione alla “vendita” del pezzo, che deve risultare accattivante e ossequiare il lettore medio con il suo bagaglio di pregiudizi, piuttosto che far luce su quanto di autentico e vero vive nel mondo intorno a noi. E in questo non aiuta la nostra educazione conformista che non vuol riconoscere la preziosa molteplicità dell’esistente, la ricca biodiversità che nutre e anima il mondo. Siamo tutti diversi e conoscere l’altro da noi è la cosa più difficile ma l’unica cosa che ci consente di esser veramente consapevoli di ciò che siamo anche noi, confrontarsi con l’altro e imparare dall’altro la sua specifica diversità da noi stess*: rispettarsi è affermare “se te non sei, io non sono” la differenza rende possibile identificare la nostra specifica unicità.


Il DDL Cirinnà sulle unioni civili è divenuto Legge dello Stato a maggio 2016, dopo essere stato stravolto rispetto al dettato originario. Secondo il tuo pensiero è utile alle persone lesbiche e gay del nostro Paese? Se sì, per quali motivi? Il mondo LGBTQ+ è tuttora diviso fra quante/i non si accontentano della formula “formazione sociale specifica” – scelta pur di non definire quelle arcobaleno delle vere famiglie – e coloro che dicono “meglio che niente”.

Questa legge è una legge voluta dalla politica, non è la legge richiesta dalle persone omosessuali o transessuali, che vogliono accolta la possibilità di essere pienamente loro stess* con pieno riconoscimento di diritti e di libertà di autodeterminazione e uguaglianza con tutte le persone, cittadine e cittadini di questo paese. Gran parte della classe politica non riesce ad avere il coraggio di guardare in faccia le persone e guardarsi allo specchio, privilegia gli opportunismi per mantenere il potere. Se una legge come questa sulle unioni civili, solo per omosessuali, serve per rimettersi un poco in linea col resto dell’Occidente civile, si stempera la Verità dell’uguaglianza degli individui andando a creare un monstrumgiuridico che sancisce una non necessaria differenza. La Legge Cirinnà è una misura minima, ancora discriminatoria e vessatoria, che disconosce l’uguaglianza dei cittadini e delle cittadine e suggella per legge la diversità delle persone rispetto al valore dei loro affetti e all’assunzione della propria responsabilità come compagne e compagni e come genitori affettivi e sociali. È una leggina povera che dà all’Italia e alla sua povera storia un motivo in più di dileggio e vergogna, ma tanto questo è quanto la nostra classe politica oggi può produrre, salvo rare singolari eccezioni.


A conclusione di questa nostra intervista, ti chiedo di parlarmi in breve della tua parte spirituale.

“homo sum humani nihil a me alienum puto”; il verso di Terenzio che la mia docente di latino e greco ci ripeteva, l’ho assunto profondamente dentro di me, traducendolo “sono un essere umano e tutto ciò che è umano mi appartiene”. Sono stato fervido credente e cattolico, finché non ho compreso l’assurdità di un dio che per essere onnipotente doveva essere cattivo o incosciente o che, per essere onnisciente, doveva essere impotente; più banalmente trovo l’idea di Dio infinitamente affascinante, protettiva, poetica, che viene incontro alla debolezza e fragilità umana, ma trovo la certezza che Dio non esista qualcosa che ancora di più rende prezioso ciascun essere esistente, condizione che unicamente libera l’uomo da ogni sterile dovere “esterno da sé”, impegnandolo a scegliere in prima persona le proprie azioni e ad assumersi la piena responsabilità delle proprie scelte e dei valori che le ispirano. Un’Etica vera è solo quella che non è posta da un ente che abita fuori dall’essere umano, ma che nasce dalla coscienza e dalla scelta di ciascuna persona di agire secondo un principio che essa stessa trova dentro di sé, con piena responsabilità. Trovo la certezza della inesistenza di Dio qualcosa che eleva ciascun essere umano ed ogni creatura esistente generata dal caso e dal caos, al pieno riconoscimento del suo prezioso unico ed inestimabile valore.

E vorrei rimandare anche alla bellissima preghiera della Gestalt di Fritz Perls:

Io sono la mia via e tu la tua.

Io non sono in questo mondo per rispondere alle tue aspettative

e tu non sei in questo mondo per rispondere alle mie.

Tu sei tu e io sono io

e se per caso ci incontriamo allora è splendido!

Altrimenti non ci possiamo fare niente!

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