Una importante storia d’amore (storia di un’esperienza di vita)
Quella che segue è la versione breve dell’intervista a Dario De Gregorio e Andrea Rubera, del gruppo Nuova Proposta di Roma, pubblicata sul numero di ottobre di Tempi di fraternità
Andrea e Dario si amano da più di 25 anni. Insieme hanno iniziato un percorso amoroso, di vita e di attivismo cristiano che li ha portati a fondare, insieme a tante altre persone lesbiche, gay e trans, il gruppo LGBT cattolico Nuova Propostadi Roma.
Mi raccontate come vivete da gay la vostra personale esperienza di devoti di Gesù?
Andrea:Devo dire che nel periodo dell’adolescenza e prima giovinezza non è stato facile riuscire a sentirmi veramente parte dell’Amore di Dio. Nasciamo e cresciamo in una società francamente omofoba e, quindi, introiettiamo il messaggio che essere omosessuali è sbagliato. Questo avviene anche nel cammino comunitario di fede. Negli anni ’70 e ’80 non si parlava mai di omosessualità e le possibilità di venire a contatto con questa tematica erano scarsissime. Quindi, al momento della consapevolezza, purtroppo si era da soli, con l’angoscia di non poterlo dire, di non essere amati, di non poter essere più parte di quella comunità. Per fortuna, però, siamo riusciti a fare un percorso, lungo ma efficace, che ci ha ricondotto al “ritrovamento” dell’immagine di Dio Padre che, per fortuna, mai si era effettivamente distrutta dentro di noi. Ci siamo riusciti, però, solamente quando ci siamo calati pienamente dentro la nostra “verità” di persone omosessuali e credenti, accettandoci per quello che siamo e per come Dio ci ha fatto.
Dario:Certo, non è stato facile conciliare fede ed omosessualità all’inizio. Per lunghi anni mi sono allontanato dalla fede pensando di non esserne degno, credendo che la mia omosessualità m’impedisse di fare parte della Chiesa. Ogni volta che entravo in Chiesa per andare a messa, ricordo che al momento della benedizione pensavo di esserne escluso, che per me non valesse. Non parliamo poi dei sacramenti! Per anni me ne sono allontanato… Fondamentale per me è stato il cammino fatto con Andrea, la fortuna di aver incontrato sul nostro cammino religiosi che non ci hanno giudicato o condannato ma che ci hanno fatto capire che anche noi eravamo inclusi a pieno titolo nell’amore di Dio.
Se la verità ci rende libere/i e la libertà ci rende autentiche/ci, perché la società italiana fa così tanta fatica a garantire anche alle persone gay e lesbiche una vita di grandi sogni liberati dal giogo del pregiudizio?
Dario:Credo che fondamentalmente la società attuale tenda a non voler vedere ciò che non è immediatamente riconoscibile come problematico. Mi sono spesso sentito dire che in fondo non ci sono problemi per gli omosessuali in Italia, quasi a voler dire “di che vi lamentate? Che problema c’è?”. Ecco, trovo molto più difficile e frustrante far capire a queste persone (che si rivolterebbero se venissero tacciate d’omofobia) quanto sia alto l’impatto del loro “non-impegno” in aiuto di chi come noi non vede riconosciuto alcun diritto e che deve ogni giorno lottare solo per riuscire ad essere se stesso.
Andrea:Perché ancora sull’omosessualità grava un enorme pregiudizio e moltissime paure. Io personalmente credo che le più grandi paure sull’omosessualità nascano dall’angoscia di poter riscontrare, nella propria vita, qualche scintilla di “omosessualità”. E, quindi, le persone “omofobe” istintivamente tentano di allontanare, combattere tutto ciò che riguarda l’omosessualità. Purtroppo mi sono reso conto che quello che fa più paura dell’omosessualità è proprio il fatto di non poterla riconoscere: finché l’omosessualità è presentata come stravaganza, trasgressione, eccesso è paradossalmente più accettata, proprio perché le persone riescono con facilità a etichettarla come “altro da me”. Ma se le persone omosessuali sono, invece, presentate come “integrate”, “indistinguibili”, “normalizzate”, allora credo scatti la paura di non riuscire a prendere le distanze. Però sono anche convinto che essere “veri”, “autentici”, sia fondamentale. Il “raccontarsi” è per me lo strumento più efficace per modificare la percezione.
Quando e come nacque il gruppo romano di Nuova proposta, fatto di donne e uomini omosessuali cristiani?
Andrea:Nuova Proposta è nato oltre 20 anni fa, all’incirca nel 1988, dall’iniziativa di un gruppo di ragazzi romani che, faticando a trovare risposte nelle proprie parrocchie e cammini di fede, hanno deciso di creare uno spazio dove poter riflettere su come conciliare due aspetti fondamentali della propria vita, come fede e omosessualità. Quindi, all’inizio, il gruppo era per lo più su base amicale, spontanea; nasceva per rispondere a un’esigenza molto forte personale. Con il passare del tempo, il gruppo ha assunto una fisionomia più di “servizio”. Nel 2005 siamo diventati associazione. Da allora, la nostra visibilità è decisamente aumentata in due filoni: da un lato il sempre prioritario servizio di accoglienza, dall’altro quello di formazione, informazione e testimonianza (rivolto per lo più alla Chiesa, ai movimenti, alle parrocchie) su cosa significa essere omosessuali e cristiani e cosa significa fare accoglienza a una persona omosessuale.
Dario:Oggi Nuova Proposta è una realtà importante che riesce a farsi riconoscere sia in campo religioso che in campo sociale per la maturità delle posizioni espresse, per la coerenza con cui le porta avanti ma anche per la pacatezza del nostro agire che ci permette di essere un interlocutore ascoltato e stimato. Credo che ciò che abbiamo fatto quest’anno (il 2011. N.d.a.), tra le iniziative dell’Europride (12 giorni di presenza continua al Pride Park, un convegno internazionale e l’anteprima europea del film documentario su John McNeill*) e la veglia di preghiera, organizzata a Piazza Navona, abbiano dimostrato il livello a cui siamo arrivati.
(*) Taking a Chance on God (n.d.a.)
Dario, che cosa hai provato nel momento preciso in cui hai sentito forte, dirompente dentro di te la forza dell’amore di Dio che ti ha spinto a ritrovare la tua libera identità personale?
Se vivi pienamente la tua vita, fatta di gesti normali, quotidiani, di affettività normale, quotidiana, credo sia impossibile alla lunga continuare a negare te stesso davanti agli altri. Ho rischiato di perdere l’amicizia di molte persone, ho avuto paura di essere rifiutato dalla mia famiglia ma erano tutte false paure auto-generate. Quando ho capito che non avevo nulla di cui vergognarmi, che la mia vita era uguale a quella di chiunque altro, che mai e poi mai la mia famiglia mi avrebbe rifiutato, allora sono stato me stesso, ho potuto parlar chiaro per primo con mio padre e poi con tutti gli altri. Così ho avuto un’ulteriore riprova di come la verità porti sempre, in ultima analisi, alla libertà. Importante per me è stato anche il riuscire a scindere il messaggio di Cristo dal messaggio della Chiesa, ciò che dice veramente il Vangelo dalla reinterpretazione datane dagli uomini nel corso dei secoli. Se tutti avessero la possibilità di sentirsi raccontare il Vangelo per quello che realmente significa, quanti problemi in meno avremmo…
Andrea, come vedi il tuo personale progetto di vita, se proiettato nel futuro prossimo?
Il percorso di liberazione da questa “armatura” è stato molto faticoso, lungo, ma anche risolutivo. Una volta compiuto, non si torna più indietro. Ora vedo con tenerezza, ma anche con distanza, quell’Andrea così preoccupato a controllare tutto quello che succedeva fuori e dentro di sé, a cercare di simulare l’Andrea che pensavo gli altri volessero. Penso anche che il mio cammino faticoso e lungo possa servire alle altre persone. Ho capito, in maniera molto netta, che la serenità nasce al nostro interno in primis. Ovviamente, soprattutto quando siamo adolescenti, il giudizio degli altri è importantissimo e dobbiamo lavorare ancora molto affinché si capisca quanto sia doloroso, violento subire lo stigma degli altri. La mia vita la vedo ancora molto, molto proiettata in avanti.
Dario, Andrea, le rispettive vostre storie personali si sono intrecciate un giorno di tanti anni fa. In che modo siete riusciti a costruire un rapporto di coppia così solido?
Dario:Quando racconto che io ed Andrea stiamo insieme da più di 25 anni, mi dà fastidio e m’imbarazza il sentire commenti sorpresi (Complimenti! Che storia! ecc.), in fondo i nostri genitori, mediamente, hanno avuto tutti una storia simile. Non credo di costituire un’eccezione, un caso particolare. E come i nostri genitori questi 25 anni ce li siamo dovuti sudare, giorno per giorno e ce li suderemo ancora nei prossimi anni e per tutto il tempo che vivremo insieme. Certo, noi abbiamo avuto la difficoltà, come dice Andrea, di non avere intorno una cultura, dei modelli che ci hanno potuto aiutare e guidare.
Andrea:La nostra è una storia particolare ma, se vuoi, anche molto normale. Ci siamo conosciuti il primo anno di università. Era la prima storia per entrambi e da allora siamo stati sempre insieme. Non è stato facile capire cosa significasse “essere una coppia”, proprio perché di modelli non ne avevamo. Ci siamo dovuti, quindi, “inventare” lo stare insieme, il crescere, il fonderci, il dare spazio a un soggetto più grande che non fosse solo la semplice somma di Andrea e Dario. Ricordo quando, nel 1995, avevamo maturato la convinzione che giammai saremmo potuti andare ad abitare insieme, perché non avremmo mai retto al peso del giudizio sociale derivante dall’essere giudicati come coppia gay convivente. Quindi ci eravamo comprati e ristrutturati una casa ciascuno. Quell’anno, dopo aver terminato i lavori a casa mia, mi sono trasferito. La prima notte, in cui ho dormito da solo lì, mi è insorto un terribile attacco di panico. La cosa è continuata, crescendo in intensità, per molto tempo. Ho deciso di fare un percorso di psicoterapia, alla fine del quale è stato chiaro che quell’angoscia derivava dal fatto che mi ero rinchiuso in una gabbia, che non volevo in realtà vivere da solo: volevo dividere la mia vita con Dario. Quel periodo doloroso è servito moltissimo: è stata la molla che ha favorito la conoscenza di me e la guarigione di alcuni aspetti sofferenti.
Lidia Borghi