Umano. Troppo umano
Man(GB, 2012, 3′,26”) è un cortometraggio di Steve Cutts, l’artista freelance londinese specializzatosi in illustrazioni animate, come nel caso del corto che mi accingo ad analizzare; dopo aver completato gli studi alla Farnham University, Cutts per quattro anni ha svolto l’attività di illustratore presso la Isobar di Londra, un’azienda che produce colle, dopo di che è stato notato da alcuni produttori ed ha potuto iniziare a creare i suoi lavori per alcuni fra i più importanti marchi internazionali.
Manè l’amara parodia del genere umano intento ad autodistruggersi e Steve Cutts ce la propone grazie ad un fumetto al quale ha lavorato in post produzione con alcuni fra i più potenti programmi di animazione grafica per donarci un corto davvero efficace, impreziosito da In the Hall of the Mountain King del grande compositore norvegese Edvard Grieg.
Ed eccolo, il nostro malcapitato protagonista, all’alba dei tempi, compiere il suo primo gesto di violenza contro la natura incontaminata. Man piomba sul Pianeta Terra in mezzo ad un bosco, la scritta Welcome sulla maglietta a maniche corte, si guarda intorno e comincia a passeggiare, quando la sua attenzione viene attirata da un insetto che si trova ai suoi piedi. Quel piccolo essere, spiaccicato sotto il peso di decine di chili, è la sua prima vittima. E la lenta, sistematica distruzione del Pianeta azzurro può così avere inizio. Grazie ad una serie di metafore visive forti quanto potenti, Cutts ci mostra Manintento ad infrangere le delicate leggi dell’ecosistema, manipolando, adulterando, alterando, falsificando tutto ciò che gli capita per le mani e per i piedi. Fino a quando non impugna un’arma per cominciare ad uccidere gli animali per profitto. Molto emblematica, in tal senso, l’eliminazione di un elefante in corsa che, grazie all’animazione di Cutts, si trasforma in un pianoforte. La corsa verso la morte di Man continua mentre il nostro è impegnato a far sparire nel mare alcuni fusti contenenti scorie radioattive; non pago di ciò, getta una rete a strascico sulla distesa d’acqua salata e tira su un’enorme quantità di pescato che, pieno zeppo di agenti inquinanti, finirà nello stomaco suo e di milioni di altri umani nel mondo. Gli animali da pelliccia che incontra sul suo cammino vengono uccisi senza scrupoli, le teste diventano trofei da appendere nel salotto di casa, mentre le sue gesta vengono immortalate dai flash di altrettante macchine fotografiche; gli alberi che incontra si trasformano in alte pile di carta. Le più grandi capacità umane vengono asservite al profitto, trasformando così tutte le più alte realizzazioni degli uomini e delle donne in strumenti di morte e distruzione per i più, mentre pochi si arricchiscono; là dove un tempo sorgevano praterie e boschi pieni di verde e di animali ora sorgono grandi città inquinate e trafficate, zeppe di palazzi alti e stipati di gente. Man possiede due bacchette magiche, con le quali tutto ciò che incontra sul suo malvagio tragitto viene trasformato in sofisticati strumenti di morte. Ogni cosa commestibile viene triturata, sminuzzata, sofisticata, mescolata ad agenti tossici ed immessa sul mercato sotto forma di prodotti finiti dannosi per la salute, nocivi, cancerogeni, mortiferi. Fino al giorno in cui…
E qui mi fermo, perché Man deve essere visto sino all’ultimo fotogramma, per comprendere che tutto ciò che Steve Cutts ci ha narrato per immagini si sta già verificando sul nostro pianeta, che di azzurro ha oramai ben poco; che la prospettiva per il medio termine è di una sfumatura di grigio tendente al nero e che le attività del genere umano ci stanno portando davvero all’autodistruzione.
A meno di non rivedere il nostro modo di trattare il suolo che ci ospita e che dovrebbe essere il luogo più accogliente per coloro che verranno; a meno di non smettere di considerare il profitto come il nostro unico scopo di vita; a meno di non doverci svegliare, un giorno non lontano, per scoprire che non ci resta più nulla da fare, se non attendere la fine.
Manè un cortometraggio di una crudezza estrema che deve la sua efficacia persino alla scelta dei colori, tenui, sbiaditi, tendenti al grigio e al nero, con il bianco sullo sfondo che fa risaltare ancor di più la desolazione che si avverte tutt’intorno; solo un giallo sbiadito, a tratti acido, quando non verdastro, ci informa che stiamo assistendo alla triste metafora della nostra sorte imminente. Man dovrebbe essere proiettato nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, affinché le nuove generazioni di rendano conto che hanno a che fare con un’umanità lorda e corrotta i cui operatori di morte ne stanno minando il futuro per mero profitto.
È il progresso, bellezza. E non ci puoi fare nulla!
Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.
(Piede di Corvo, della tribù pellerossa dei Piedineri)
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Lidia Borghi