Scandalo Karadima. I Delicta graviora nella chiesa cilena e la reazione papale
El Bosque de Karadima(Cile, 2015) è un film diretto da Matías Lira che documenta gli abusi sessuali a cui l’adolescente Thomas Leyton venne sottoposto per vent’anni da Fernando Karadima, un prete cileno potente e carismatico, oggi ridotto allo stato laicale, che divenne la sua guida spirituale. Il film non è uscito in Italia, ma è stato proiettato nel 2017 durante il Festival Latinoamericano di Triestecon i sottotitoli in italiano. Thomas è un personaggio immaginario.
Negli anni ‘80 la parrocchia El Bosqueera frequentata dalle famiglie più ricche di Santiago del Cile, quelle conservatrici, nostalgiche del regime di Pinochet. Per molti Karadima era un santo in terra. Al Bosqueaveva istituito la Pía Unión Sacerdotal, un collegio di copertura per manipolare le menti dei giovani aspiranti seminaristi in cerca di risposte sulla loro vocazione e violentarli, spesso sotto gli occhi del suo collaboratore più stretto.
Tre vittime in particolare ebbero il coraggio di uscire allo scoperto e denunciarlo, Juan Carlos Cruz, Andrés Murillo e James Hamilton. Nel 2015 Cruz scrisse una lunga lettera al Papa (il documento può essere scaricato dal sito adista.it. N.d.R) in cui denunciava gli abusi sessuali subiti e chiedeva un’udienza per sé e per i suoi compagni, udienza che è avvenuta ad aprile del 2018 a Roma, in Santa Marta. La missiva venne portata in Italia da quattro membri della commissione cilena anti abusi per la protezione dei minori e data brevi manu al cardinal Sean O’Malley, responsabile della Pontificia Commissione per la tutela dei minori.
Sempre nel 2015 il New York Times pubblicò due testimonianze che denunciavano gli abusi sessuali di Karadima con dovizia di particolari, anche molto crudi. A rilasciare le dichiarazioni erano stati Cruz e Hamilton.
Da decenni la Chiesa cilena sapeva tutto e l’arcivescovado aveva già ricevuto diverse denunce, fra cui una del 1955. Nel 2009 venne aperta una prima indagine sul prete pedofilo, che fu punito da Benedetto XVI con un ritiro penitenziale in convento.
Ormai la verità non poteva più essere tenuta nascosta, malgrado l’enorme disparità delle forze in campo: l’arcivescovo di Santiago, Francisco Javier Errázuriz, screditò le vittime e ne minò la credibilità, ma in seguito fu costretto a chiedere scusa per non aver creduto loro.
A gennaio del 2018 il Papa ha fatto visita in Cile e ha avuto conferma di uno scandalo che conosceva da tempo e a proposito del quale aveva sempre parlato di calunnie nei confronti dei preti coinvolti. Durante uno dei discorsi fatti di fronte a migliaia di cileni viene fischiato, chiede perdono e afferma che le vittime devono essere appoggiate in ogni modo.
A settembre Bergoglio dimette dallo stato clericale Fernando Karadima e il suo complice, il vescovo Juan Barros – colui che guardava mentre il parroco del Bosqueabusava dei giovani aspiranti seminaristi – accusato di aver insabbiato le denunce.
Karadima si è dichiarato innocente.
Non del tutto convinto di quanto appreso in Cile, Bergoglio ha sguinzagliato l’arcivescovo maltese Charles Scicluna e lo ha mandato a Santiago a indagare; l’esponente del Sant’Uffizio è tornato con un rapporto di 2.300 pagine contenente 64 testimonianze; è grazie a questa indagine che il pontefice si è convinto del tutto dell’autenticità dello scandalo e, ammessi i suoi errori di valutazione, ha convocato i vescovi per “atti concreti, riparare lo scandalo e ripristinare la giustizia”. Non prima di aver visto le tre vittime in Santa Marta.
In uno dei miei prossimi articoli approfondirò la questione dei preti gay, per ora basti sapere che la Chiesa cattolica, non contenta di discriminarli, li sta usando come capro espiatorio della pedofilia clericale. “Essere accostati ai preti pedofili”, ha affermato lo scrittore statunitense gay Andrew Sullivan, “ha ferito molti dei sacerdoti con cui ho parlato. La sfida(…) non consiste nelliberare la chiesa dall’omosessualità, ma dall’ipocrisia, dalla disonestà e dalla disfunzione.”