Sale d’attesa: la storia di Aurora, primo caso in Italia di cambio di sesso senza intervento chirurgico (3)
Segue da: Prima parte – Seconda parte
di Lidia Borghi
Aurora è una bella ragazza che, quando parla al telefono, attraverso la voce sa trasmettere tranquillità e una profonda consapevolezza. Ha importanza che sia in transizione di genere e che il suo aspetto androgino faccia storcere il naso a chi la guarda? Sì, se la sua identità personale viene giudicata contro natura o non collimante con una serie di regole non scritte, che la società impone all’essere umano in quanto normative; ogni volta che un individuo esula, per i più disparati motivi, da quel complesso di modelli, diventa trasparente – salvo suscitare perplessità, stupore o ludibrio – e va ad ingrossare le fila di coloro che abitano una sorta di terra di nessuno fatta di emarginazione, discriminazione e ignoranza per lo più totale. Aurora ha detto di no a tutto questo quando, intorno ai dodici/tredici anni, nel periodo della vita in cui la pubertà comincia in modo graduale a lasciare il posto all’adolescenza, ha avuto sentore che in lei qualcosa stesse cambiando.
«Siccome una persona difficilmente ha modo di capire che cosa le stia accadendo, visto che non ci sono notizie in merito alla transessualità, non è per nulla facile giungere a quella conclusione; ho iniziato a fare psicoterapia (…) e da lì, in qualche modo, da piccoli indizi, ho cominciato a prendere consapevolezza che c’era qualcosa che non andava, perché non sentivo che il mio corpo corrispondeva a questa mia condizione. Frequento la Facoltà di Psicologia all’Università e all’inizio della transizione non volevo più frequentare, poiché sentivo forte il disagio di dover presentare un documento d’identità contenente un nome maschile ma, ora che le cose sono cambiate, quel disagio è passato anche perché, nel frattempo, ho cambiato sede universitaria e non sono dichiarata, per cui tutte le persone mi conoscono con il mio nome da donna. Ho la fortuna, in un certo senso, di passare inosservata. L’adolescenza per le persone con disforia di genere è un grande colpo, se non si passa quella è difficile capire che cosa ci stia accadendo; io l’ho iniziata in modo effettivo con gli ormoni un anno e due mesi fa, a 21 anni, e ho trovato grandi difficoltà più all’inizio del percorso, perché c’è grande disinformazione, anche a livello di psicoterapeuti: non che io voglia insegnare qualcosa a qualcuno, però quelli che ho conosciuto io sono ancora attaccati agli stereotipi e non considerano la diversità dell’individuo, perciò si basano su alcuni standard. Un esempio su tutti: io sono attratta dalle femmine e per molti di loro questa era una cosa strana».
In merito alla sentenza messinese, Aurora la considera rivoluzionaria proprio perché essa ha sconvolto l’ordine preesistente tanto che, all’indomani della pubblicazione, molte persone le si sono rivolte per averne il testo, da usare come precedente per raggiungere il suo stesso scopo. Queste le parole della studente.
«In realtà il giudice ha scritto cose davvero molto belle in quanto rispettose e lui stesso lo è stato nei miei confronti; quando ci ha convocati la prima volta si vedeva che non era proprio informatissimo sulla questione, ma sapeva solo ciò che sanno tutti, cioè che bisogna fare l’operazione di riassegnazione, se si vuole avere il cambio anagrafico sul documento e infatti ci ha chiesto venti giorni per documentarsi e così ha fatto, per cui quella sentenza è anche il risultato di una persona che ha scelto di informarsi, pur di non perdere quei cinque minuti necessari a scrivere “non è possibile”; ha ragionato e ha deciso di non negare questo diritto a una ragazza adolescente, che ha tutta la vita davanti».
La gente in genere non sa che la riassegnazione chirurgica è un intervento lungo e complesso: prima demolitivo e poi ricostruttivo, dura almeno una decina di ore, se non di più e il fatto di costringere una persona transgender a sottoporsi ad un trauma tanto invasivo non è umano.
«Soprattutto – racconta Aurora – per quei soggetti che hanno raggiunto un certo equilibrio interiore con se stessi; perché andare a fare un’operazione fisica complicata e lunga? Oltretutto c’è anche chi non può e non parlo solo della spesa, ma pure di problemi di salute, anche gravi, per i quali è sconsigliato un intervento tanto lungo. E questa serie di problemi, almeno fino a quella sentenza, costringeva tante persone transessuali a non ottenere mai i documenti. Io sono stata fortunata…».
Aurora è una persona determinata, con le idee chiare, che sa quanto sia importante il linguaggio, quando ci si ritrova prese in mezzo ad atti di bullismo, dettati dal pregiudizio che conduce alla discriminazione.
«A me sono capitati alcuni spiacevoli episodi, all’inizio del mio percorso, causati da alcuni ragazzi che in pubblico mi deridevano, ma in privato mi chiamavano, chiedendomi alcune prestazioni sessuali… (…) Oggi, grazie a quella sentenza non vivo più questo tipo di disagio, anche se continuo a fare psicoterapia (…); se io quei documenti non avessi potuto cambiarli, ancora subirei molte spiacevoli conseguenze, come nel caso della richiesta dei documenti in pubblico. Quella sentenza mi evita tutta una serie di umiliazioni pubbliche, come all’Università. Vivo una vita abbastanza anonima, proprio per mantenere la mia tranquillità. E non si tratta di vergogna o di un disagio personale dovuto al fatto che ancora non mi sono accettata, ma di difesa da una società del tutto chiusa e non evoluta».
Appena ha appreso quanto malessere la figlia stesse provando, nel sentirsi estranea al corpo in cui era nata, la madre di Aurora ha avuto una reazione che lei stessa ha definito simile a un fulmine a ciel sereno ma, una volta superate le perplessità iniziali, ha voluto approfondire quello stato d’animo per comprenderlo meglio.
«Avevo capito che c’era qualche disagio, ma non pensavo fosse attribuibile alla transessualità. Quando lei me ne ha parlato, ho persino pensato che lei fosse stata traviata; siccome in quel periodo parlava con una neurologa, ho ritenuto fosse stata lei a metterle certe cose così gravi e importanti in testa. Mi chiedevo come mai mia figlia, prima di allora, non avesse avuto alcun problema. Quasi quasi ne attribuivo la colpa a quella persona, ma non ho pensato quanto il disagio di mia figlia fosse di molto precedente ai loro colloqui. Il ruolo della neurologa è stato solo quello di aiutarla a comprendere meglio. Certo, non posso dire di avere festeggiato. Ho sempre adorato e amato mia figlia e l’ho sempre stimata – anche prima di sapere – per la sua moralità, per i suoi princìpi. La stimo perché l’ho cresciuta e so quanto profonda sia nei suoi sentimenti, anche più di me. Lei mi ha stupita tante volte con la sua bontà e ho capito che, alle volte, non mi parla delle sue cose per non provocarmi dispiacere e per proteggermi».
La mamma della giovane ha espresso, durante il dialogo telefonico, una decisa condanna nei confronti di coloro che – per sentito dire – bollano le persone transgender e transessuali come individui di dubbia moralità, senza valori e pervertiti.
«Mi dispiace perché so che prendono un grosso granchio coloro che agiscono così: giudicano senza sapere, (…) finendo per fare di tutta l’erba un fascio. Ogni persona è a sé. Un’altra cosa: è opinione comune che le persone transessuali pensino solo al sesso, ma ti posso assicurare che ciò non è vero, poiché hanno dei grossi disagi, da questo punto di vista ed è l’ultima cosa a cui pensano. Le tante persone come Aurora con cui sono tuttora in contatto sono sofferenti (…) e io le considero come quegli ultimi di cui Gesù ha parlato e che ama più di tutti, proprio perché discriminate, derise ingiustamente e, perciò, amate da Dio. Lui vede i cuori e non i pregiudizi. (…) Per me Aurora è stata determinante, grazie anche alla sua pazienza, soprattutto di fronte ai miei tanti dubbi iniziali. Io sono stata la più difficile da educare, poiché non sapevo neppure la differenza tra etero, omo e transessuali e, addirittura, che pure tra le persone trans potessero esserci le stesse condizioni di etero e omosessualità. Per me era una confusione incredibile e le sue spiegazioni intelligenti mi hanno chiarito assai le cose. (…). Mi ha rafforzata, tutto ciò».
Anche la madre di Aurora ha accolto con grande gioia la sentenza emessa dal giudice Bonanzinga: di lui ricorda soprattutto la grande umanità con cui ha affrontato il caso in esame, senza pregiudizi e con la voglia di comprendere, a partire dalle leggi e dai verdetti precedenti, che gli sono stati assai utili al fine di trarre le sue conclusioni, facendo il giusto, anche se ciò ha comportato l’andare controcorrente. Inoltre la donna, maestra presso una scuola primaria di Messina, pur dicendosi cattolica, mai per un solo secondo ha pensato che la transessualità fosse un abominio o che la figlia fosse contro natura.
«(Aurora) non può farci niente, è nata così, non ha colpe. Il disagio per il Dig e la scoperta dell’attrazione per le persone del proprio sesso avvengono quasi sempre in adolescenza, con le prime pulsioni sessuali».
trans-gender.
Il 20 luglio scorso la prima sezione della Corte di Cassazione di Roma ha emesso una storica sentenza (n° 15138/2015), grazie alla quale le persone trans che vogliono cambiare il genere di appartenenza sul documento d’identità, senza ricorrere alla riassegnazione chirurgica dei genitali primari, da ora in poi potranno farlo e la Giurisprudenza sarà tenuta ad accogliere istanze analoghe. (http://www.corriere.it/cronache/15_luglio_20/cassazione-no-sterilizzazione-forzata-rettificare-stato-civile-cc9fb966-2ecc-11e5-820a-d82a668b1363.shtml).
In questo clima di rinnovamento civile – a partire dal Potere Giudiziario, ma non da quello Legislativo – la vicenda di Aurora e dei suoi famigliari tocca i cuori e le coscienze di tutte e tutti noi e, grazie al verdetto senza precedenti emesso da Corrado Bonanzinga, ha avuto la possibilità di fuoriuscire dal ristretto ambito familiare per far sì che a cambiare siano, da domani, le vite di tante altre persone; è solo grazie all’incontro e alla condivisione, infatti, che la diversità può essere compresa e che le cose possono cominciare a cambiare per contribuire, a piccoli passi, al mutamento della mentalità corrente.
Perché la discriminazione può essere abbattuta eliminando l’ignoranza che le sta dietro. Perché non è vero che si è sempre fatto così. Perché tutto cambia. In continuazione.