Regina bianca. Perché è l’amore a fare la famiglia
«…Non credeva che fosse figlio di Bea. Diceva che ha la tua stessa espressione paracula…» Così ho deciso di iniziare questo post, dedicato ad un cortometraggio che narra le vicende di una famiglia come tante.
Regina bianca (I, 2012, 12′,38”) è incentrato sulle vicende famigliari di Andrea, Bea e del piccolo Federico e a dirigerlo è la giovane filmakersiciliana Chiara Rap alle cui attività ha di recente dedicato alcuni articoli Sarah Kay dalle pagine elettroniche del sito Bambini zerotre.
Interno giorno. La macchina da presa, dopo aver seguito un carrello spinto da un’inserviente lungo un corridoio, d’improvviso viene quasi travolta da una figura femminile che esce, in evidente stato di rabbia, da una porta laterale. Si tratta di Andrea, la co-madre di Federico, uno scricciolo di soli tre anni messo al mondo da Bea, l’ex compagna. Interno notte. Piccola scena famigliare con mamma e mamma che osservano i giochi del figlio alle prese con un camion giallo dotato di gru allungabile. Andrea ha un macigno nel cuore: un sentimento di pesantezza dovuto alla mancata accettazione del suo orientamento affettivo e sessuale da parte della nonna, ora ricoverata in quell’ospedale. Bea la convince a tornare, l’indomani, nella struttura. Sarà lì, infatti, che si compirà un piccolo miracolo, il centro dell’intera vicenda narrata per immagini dalla regista.
Regina bianca è un piccolo capolavoro. Non si tratta solo di un corto nel quale soggetto, sceneggiatura e resa visiva si sanno amalgamare in modo quasi perfetto, ma di una storia che fa trasparire la grande capacità di sintesi di chi ha curato la stesura di quello script. Difficile, infatti, riuscire a descrivere le enormi difficoltà quotidiane che una famiglia composta da due donne o da due uomini deve attraversare in un Paese come l’Italia, nel quale i nuclei affettivi omogenitoriali non hanno tutele giuridiche.
E poi c’è la vicenda umana delle femmine che compongono il corto: una nonna degente un po’ categorica, una madre superficiale solo in apparenza, una co-madre il cui carattere ricorda molto quello della parente ammalata ed una neo-mamma alle prese con un figlio piccolo, una relazione d’amore spezzata da un tradimento e la difficile convivenza frammentaria con la compagna.
A fare da collante, attraverso il simbolo della pedina per eccellenza degli scacchi, un’altra figura femminile, che ci ricorda le mille sfaccettature dell’affettività umana, di quell’amore che tutte e tutti noi bramiamo per tutta la vita e che, spesso, non riusciamo a gestire, perché ne temiamo la soverchiante forza.
Regina bianca mi piace. Davvero. Perché l’ottimismo non abbandona mai la scena e perché la speranza urla forte sino ai titoli di coda. Un centro pieno, quindi, per Chiara Rap, una regista di grande talento che ha all’attivo un corto prodotto prima di questo (Pepe nero) e diverse sceneggiature per lungometraggi.
Presentato alla dodicesima edizione del Rome Independent Film Festival, Regina bianca ha messo al centro del racconto visivo – lo ribadisco – una famiglia come tante, riuscendo a far passare un messaggio che dovrebbe far riflettere quante e quanti si ostinano, in questa Italietta del malaffare, della giustizia che viaggia a corrente alternata e della recessione passata sotto silenzio, a credere che le unioni amorose formate da persone dello stesso sesso rappresenterebbero una minaccia per la società naturale fondata sul matrimonio riproduttivo tra due soggetti di sesso diverso. In barba all’articolo 29 della Costituzione repubblicana.
Infine spiego il perché dell’inizio alquanto particolare di questo articolo: nelle parole pronunciate dalla nonna degente e riferite ad Andrea dalla madre c’è tutto quanto è necessario sapere sul formarsi ed evolversi di una qualsiasi famiglia; quando ero poco meno di un’adolescente ricordo che in casa mia circolava la seguente frase, in riferimento alle adozioni: “Madre e padre sono coloro che crescono la prole e non i genitori biologici”. E, infatti, quella nonna tanto arroccata sulle sue posizioni, aveva notato nello sguardo del nipote di tre anni lo stesso atteggiamento che tante volte, nei decenni precedenti, aveva osservato in Andrea. I bambini e le bambine crescono bene ovunque sia presente l’amore, nelle famiglie nucleari come in quelle allargate ovvero in ogni luogo in cui possano attingere al bagaglio affettivo e caratteriale che contraddistingue ogni esponente. Perché a rendere tale una famiglia è l’educazione sentimentale, quella stessa che sembrano ignorare tutti coloro che, in modo del tutto disonesto, invocano la natura per difendere il matrimonio secondo loro.
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Lidia Borghi