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Quelle cento vittime che non fanno numero


Già nel 2011 mi sono occupata QUIdell’evento genovese promosso dalla FondazioneCultura del Palazzo Ducale di Genova per ricordare attraverso un video le violenze mortali contro le donne nel nostro Paese.

Anche quest’anno la Fondazione – in collaborazione con il Comune di Genova – grazie al suo grande animatore, Luca Borzani e alla filosofa ligure Nicla Vassallo, ha approntato un corto intitolato100 morte che non contano – Contro la violenza sulle donne(Italia, 2012, 4′,09”), per denunciare nel più assoluto silenzio (lo stesso, assordante, che circondava le violenze domestiche anche nel 2011) le oltre cento donne morte in Italia nell’arco di questi undici mesi. Il tutto a ridosso della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, stabilita a livello mondiale il 25 novembre di ogni anno.
Il video, prodotto da Serena Gargani per Genoa Municipality Channel, è strutturato in modo che a parlare siano le immagini che ritraggono una mano intenta a disegnare su un foglio bianco i numeri del femminicidio; due sono i particolari che saltano subito all’occhio e all’orecchio: il colore utilizzato dalla disegnatrice e l’arnese, l’uno di un colore rosso vivo – come il sangue delle donne cadute sotto i colpi della violenza maschile – l’altro sottile, affilato, aguzzo e tagliente come la lama di un coltello; la sua punta a spatola viene intinta nel colore per segnare un altro numero, corrispondente ad un’altra donna morta a causa dell’inaudita violenza subita dal maschio di turno. Ogni volta che l’inusuale penna viene a contatto con il foglio bianco produce un suono stridulo, assai fastidioso, un modo efficace per colpire i sensi, così come quel numero di cento e più vittime dovrebbe sensibilizzare l’opinione pubblica. E invece così non è.
Quella cui stiamo assistendo oggi, in Italia, è una vera e propria “escalation di violenze” – come recita lo scritto che si dipana sullo schermo alla fine del video – che, grazie agli allarmanti dati in nostro possesso, si verificano nella maggior parte dei casi in ambito domestico, il che ne fa la forma più diffusa di sopruso; il tutto avviene e continua ad accadere in Italia, un Paese che preferisce tacere di fronte all’aumentare di un fenomeno che è diventato emergenza sociale.
Ancora oggi certo giornalismo alquanto superficiale definisce i tanti casi di femminicidio come delitti passionali o, quel che è peggio, tragedie della gelosia in cui all’omicida di turno – sia esso marito, padre, convivente o fidanzato – viene attribuita una momentanea perdita della ragione, mentre sappiamo fin troppo bene che ad armare quelle mani è l’assenza d’amore, unita alla convinzione che il corpo femminile sia di esclusivo possesso del maschio.
Barbarie, ignoranza, inciviltà: questi tre termini, assai significativi, scorrono assieme ai titoli di coda di un video di denuncia che vuole sottolineare anche la passività con la quale, spesso, molte donne evitano di denunziare alle autorità abusi e molestie sessuali, oltre che le violenze domestiche che dovrebbero riempire le pagine di cronaca dei quotidiani e che, il più delle volte, passano sotto silenzio.
Ideato da Francesca Biasetton, Luca Borzani, Elvira Bonfanti, Carla Turinetto e Nicla Vassallo e patrocinato dalla Commissione Pari Opportunità della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana), 100 morte che non contanocolpisce le coscienze mentre ferisce l’occhio e l’udito a causa di quell’arnese acuminato e sottile che ricorda tanto – lo ripeto – la lama di un coltello, uno dei tanti che qualche maschio selvaggio ha alzato sul corpo di una femmina inerme che oggi non esiste più.
L’autore e le autrici di questo video di utilità sociale invitano tutte e tutti noi a contare in modo lento fino a cento. Affinché nessuna donna debba più tacere o morire. Affinché i maschi violenti si facciano curare. Nessun* si sent* esclus*. Urliamo forte la nostra ribellione contro il femminicidio.

guardail video
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Lidia Borghi
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