Matrimonio fra persone dello stesso sesso e unioni omogenitoriali: Nicla Vassallo e Vittorio Lingiardi ci aiutano a capire perché un altro genere di famiglia è possibile
Il recente, infuocato dibattito iniziato da Ernesto Galli della Loggia dalle colonne de Il Corriere della serain merito alle famiglie omogenitoriali, ha fatto riemergere anche nel nostro Paese la questione del matrimonio fra persone dello stesso sesso proprio mentre la Francia di Hollande si accinge a far passare una legge che garantisca a qualsiasi legame d’amore un’unica forma di unione.
Nel nostro Paese la Corte di cassazione ha inoltre emesso una storica sentenza che definisce un “mero pregiudizio” la pretesa di un padre di considerare la relazione omosessuale dell’ex moglie – affidataria esclusiva della figlia – come non idonea alla crescita della propria creatura. Prendendo spunto proprio dalle controversie sorte in terra francese tra la chiesa cattolica locale e il parlamento Galli della Loggia ha asserito che il matrimonio fra persone dello stesso sesso causerebbe una “confusione delle genealogie, degli statuti e delle identità”, nonché l’annullamento della “complementarietà uomo/donna” e dell’”esistenza ontologica di due sessi distinti”; insomma, verrebbero meno in un sol colpo le fondamenta antropologiche della nostra cultura di esseri umani. A rinfocolare la disputa italiana è intervenuta la psicoanalista Silvia Vegetti Finzi, la quale ha tirato in ballo addirittura il freudiano complesso di Edipo per spiegare che l’identità sessuale di ogni persona umana si struttura a partire dalla famiglia in modo assai concreto, a causa dei ruoli giocati dalla madre, dal padre e da figli e figlie. Per provare a mettere un punto fermo sulla questione ho chiesto alla filosofa Nicla Vassallo ed allo psichiatra Vittorio Lingiardi di rispondere ad alcune domande che investono diversi campi di indagine e di analisi, tra cui la filosofia, l’epistemologia e la psicoanalisi. Lo scopo è quello di fornire all’opinione pubblica del nostro Paese un punto di vista utile a comprendere che non esistono aberrazioni antropologiche, ma forme di matrimonio e di famiglia che si evolvono a seconda del periodo e del contesto storico e culturale in cui si vive e che sarebbe bene abbandonare pericolosi approcci ideologici ad una questione che, in Italia, è lungi dall’essere risolta e che rappresenta – questa sì – un’aberrazione sociale.
Nicla Vassallo
Famiglie omogenitoriali: un recente dibattito, scatenato dalle colonne de Il Corriere della serada Ernesto Galli della Loggia, ha cominciato a dividere l’ambiente culturale e quello della psicoanalisi italiana tra chi è a favore e chi è contro. Che cosa dice la filosofia in merito?
Nicla Vassallo: «Ci sono filosofie e filosofie. La vecchia filosofia della differenza sessuale, che continua a dominare in Italia e che non riesce a rinnovarsi, filosofia in cui in fondo si devono rispecchiare le regnanti gerarchie cattoliche, è costretta a postulare la complementarietà femmina/maschio e donna/uomo, proprio a causa della precedente postulazione della differenza – questo sempre che voglia conservare un minimo di coerenza. Parecchie altre filosofie leggerebbero l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia come uno sproloquio intriso di pregiudizi, errori, argomentazioni scorrette».
Molte persone addette ai lavori in ambito psicoanalitico asseriscono che la psicoanalisi non è una scienza, eppure all’interno della controversia personaggi come Silvia Vegetti Finzi hanno scomodato nientemeno che il complesso di Edipo per conferire alle coppie genitoriali formate da persone dello stesso sesso caratteristiche che non sarebbero idonee a crescere figli e figlie. Da un punto di vista epistemologico come è possibile spiegare tutto ciò?
Nicla Vassallo: «Per l’epistemologia, lo statuto scientifico della psicoanalisi (anzi, delle psicoanalisi) è oggetto di dibattito. Come è noto, stando ad alcune tesi, le psicoanalisi non sono vere e proprie scienze, bensì pseudoscienze oppure mitologie. Ma non è tanto questo il punto, anche perché opinioni alla Vegetti Finzi vengono contrastate da altre, ben più solide, costruite su dati statistici che attestano la “bontà” dell’omogenitorialità. Per di più, dal punto di vista dell’epistemologia della testimonianza, a un solo testimone (a Vegetti Finzi, per esempio), per quanto autorevole, sarebbe dovuto seguire, a ruota, un altro testimone che, operando sempre nel campo psicoanalitico, avrebbe potuto presentare un punto di vista diverso ai lettori. Ciò si è, in qualche modo, verificato giorni dopo l’uscita del primo articolo di Vegetti Finzi, quando sulle adozioni si espressa la Consulta.»
Galli della Loggia ha parlato addirittura di “confusione delle genealogie, degli statuti e delle identità” in riferimento ai ruoli di genere rivestiti dai maschi e dalle femmine all’interno dei nuclei famigliari formati da persone dello stesso sesso; quanto c’è di vero, a livello filosofico e quanto invece può essere ascritto a quella che Lei, di recente, ha definito “l’etica della convenienza”, che sembra essere oggi tanto di moda, quando si affrontano argomenti del genere?
Nicla Vassallo: «Cosa sono le genealogie? Cosa sono gli statuti? Cos’è l’identità? Prima di impiegare questi termini, occorre conoscerne il significato. Ad ogni buon conto, la filosofia che non è infarcita di inutili, oltre che pericolosi, dualismi, non riconosce nulla di vero nelle “confusioni” di Galli della Loggia. Mi riferisco al dualismo uomo/donna, da cui sono scaturiti altri rovinosi dualismi: mascolino/femmineo, razionale/irrazionale, attivo/passivo, culturale/naturale, oggettivo/soggettivo, umano/animale, e così via. Dualismi comodi, che rientrano in quella che perlappunto chiamo l’etica della convenienza».
Infine, ogni volta che Lei parla della mancanza di una vera eguaglianza, a livello sociale, delle persone lesbiche e gay rispetto al resto della popolazione mondiale, usa il termine “diritti umani”? Perché non parlare, invece, di diritti civili?
Nicla Vassallo: «Se lesbiche e gay fossero considerate/i esseri umani a pieno titolo, non subirebbero violenze, vessazioni, discriminazioni, non sarebbero perseguitate né dileggiate, non dovrebbero nascondere le proprie preferenze sessuali, non costituirebbero il bersaglio di insulti, non verrebbero condannate/i a morte in alcuni paesi del mondo. Ci portiamo, ahimè, dietro un retaggio in cui la sessualità tra individui che appartengono al medesimo sesso viene vissuta al pari di una malattia, o peggio di un crimine. Basti ricordare che la decriminalizzazione risale a non molto tempo fa: nel Regno Unito, per esempio, è datata 1967, mentre in India è avvenuta nel 2009. In sintesi, credo che prima occorra riconoscere che lesbiche e gay sono esseri umani a pieno titolo. Il passo successivo, quello del riconoscimento dei diritti civili, sarà meno arduo di quanto ora ci appaia, almeno in questo nostro arretrato paese».
Vittorio Lingiardi
Famiglie omogenitoriali, figlie e figli nati e cresciuti all’interno di relazioni d’amore fra due femmine oppure fra due maschi. Perché molti esponenti della psicoanalisi contemporanea si sono schierati contro tutto ciò, mentre l’opinione pubblica mondiale si divide tra chi è a favore e chi è contro?
Vittorio Lingiardi: Direi il contrario: fortunatamente oggi sono pochi, pochissimi, gli esponenti della psicoanalisi schierati contro il matrimonio e la genitorialità omosessuale. E sono nostalgici di una lettera morta, vittime di una paralisi teorica e fautori di un immobilismo antropologico e sociale. Direi quindi nemici dello spirito più autentico della psicoanalisi, che deve invece dialogare con la società e confrontarsi con la ricerca. Sa cosa risponde l’American Psychoanalytic Association (public statement) a chi sostiene che la genitorialità omosessuale è “contro l’interesse del bambino”? “È nell’interesse del bambino sviluppare un attaccamento verso genitori coinvolti, competenti e capaci di cure. La valutazione di queste qualità genitoriali dovrebbe essere determinata senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale”. E, se qualche psicoanalista nostrano storce il naso di fronte alla psicoanalisi americana (accusandola di essere troppo “relazionale” e poco “pulsionale”, ma non è questa la sede per addentrarsi in aspetti modellistici e culturali), ricordo che 500 psicoanalisti francesi hanno da poco firmato una petizione a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso e della possibilità di adozione. Una petizione in cui si legge tra l’altro che i genitori lesbiche e gay non producono più “danni” di quelli eterosessuali e che “la psicoanalisi non può essere usata per osteggiare una legge che vuole promuovere l’uguaglianza dei diritti”. Da noi, il Presidente della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) è recentemente intervenuto con queste parole nel dibattito avviato dal Corriere della Sera: “[…] tutto ciò che è nuovo come prima reazione ci scandalizza perché turba degli assetti di pensiero stratificatisi nel buon senso e ci impone nuovi pensieri e nuove realtà emotive con cui confrontarci. Se è vero che il ‘funzionamento della mente’ è lo specifico della nostra specie ciò implica una serie di conseguenze a cascata di cui non siamo consapevoli in modo chiaro. […] Più il “mentale” si impone più avremo a che fare con funzioni: funzione materna, funzione paterna che potranno essere esercitate in modo non necessariamente coerente con l’appartenenza biologica. […] Che ben vengano bambini di coppie che si amano e che siano capaci di buoni accoppiamenti mentali. Non sarà il sesso biologico dell’uno o dell’altro ad aver più peso ma le attitudini mentali dell’uno e dell’altro. I figli li faccia chi ha voglia di accudirli con amore. Ciò che conta in fondo è che ogni bambino abbia il suo Presepe, la sua festa, che sia accolto e amato come un prodigio, poi sul sesso biologico di bue e asinello non ci perderei molto tempo”. Il che non esclude che alcuni psicoanalisti continuino a veicolare ai loro pazienti, silenziosamente e magari inconsapevolmente, o per ignoranza, o per pregiudizio, altre posizioni. La storia del rapporto tra psicoanalisi e omosessualità è piena di pagine nere e dolorose che mi hanno spinto a intitolare “La storia non ci assolverà” il primo paragrafo di un lungo capitolo su omosessualità e psicoanalisi (vedi Lingiardi V., Luci M., L’omosessualità in psicoanalisi, In: “Gay e lesbiche in psicoterapia”, a cura di Rigliano P., Graglia, M., Raffaello Cortina, Milano, 2006, pp. 1-70).
Di recente Ernesto Galli della Loggia e Silvia Vegetti Finzi hanno dato vita ad un interessante quanto acceso dibattito, dalle colonne di alcuni fra i più importanti quotidiani nazionali, in merito ad un paio di questioni cruciali per molte lesbiche e per molti gay, in Italia: le unioni fra persone dello stesso sesso non possono essere considerate famiglia ed eventuali figlie e figli, nati o meno all’interno di quelle relazioni, avrebbero bisogno di entrambe le figure genitoriali per crescere sani a livello psicologico. Perché le argomentazioni dei due sono fallaci e che cosa si può affermare, per sgomberare il campo da ogni dubbio?
Vittorio Lingiardi: Sono rimasto molto colpito dalla presa di posizione veterotestamentaria di Silvia Vegetti Finzi. Temo sia un modo, sbagliato, di “proteggere” la figura della madre da quella che Galli della Loggia chiama “confusione delle genealogie, degli statuti, delle identità”. Si può rispondere in molti modi. Con le parole caute, ma umane e sensate, del Cardinale Martini: «La buona fede, le esperienze vissute, le abitudini contratte, l’inconscio e probabilmente anche una certa inclinazione nativa possono spingere a scegliere per sé un tipo di vita con un partner dello stesso sesso… Se due partner dello stesso sesso ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia?». Come ho scritto in Citizen gay, l’esperienza amorosa e la costruzione dei legami affettivi avvengono nel contesto delle relazioni sociali e nel territorio della storia e della cultura. Il mancato riconoscimento, pubblico e legale, di un legame affettivo tra due persone libere che lo richiedono – e, dunque, il rifiuto di riconoscere la loro esistenza come nucleo sociale – può danneggiare il benessere psicologico, la vita di relazione e la salute mentale. Il mancato riconoscimento giuridico delle relazioni omosessuali produce implicitamente una delegittimazione delle persone gay e lesbiche. Se si accetta di non considerare unico e immodificabile lo statuto tradizionale della famiglia (che però non è quello «storico» né quello «naturale»), bisogna accettare l’esistenza di diverse forme di aggregazione familiare. La famiglia del nostro immaginario, la famiglia edipica descritta da Freud all’inizio dell’Ottocento, è determinata storicamente. Non è vero che la famiglia «è sempre stata così», come spesso sostiene chi si contrappone alle famiglie omosessuali. Oggi, ce lo ricorda Nino Ferro che ho appena citato, si parla sempre più di funzione materna e di funzione paterna e la psicologia, proprio in riferimento alle variazioni delle figure familiari, ha iniziato a utilizzare il termine di “care giver” per definire la figura che fornisce le cure e provvede all’accudimento del bambino o della bambina. Senza nulla togliere alla famiglia organizzata attorno alle figure di madre e di padre, ciò che davvero costituisce famiglia e fornisce al bambino l’ambiente adeguato per la sua crescita sono «genitori coinvolti, competenti e capaci di cure». Alla coppia omosessuale si dice: non potete sposarvi, perché chi si sposa deve fare i figli. Quella è la famiglia, quello il matrimonio. In molti, omo ed eterosessuali, rispondono: perché deve essere la riproduzione biologica a certificare l’esistenza di una famiglia? Non sono invece l’affetto, il legame, la cura reciproca? Non è paradossale che proprio un’organizzazione fondata sulla fecondità spirituale ma non su quella riproduttiva stigmatizzi un legame non riproduttivo?E a chi aggiunge: vogliamo sposarci e avere dei figli; li possiamo adottare, o concepire in modo assistito. In molti, ancora, rispondono: voi volete avere dei figli? E che razza di famiglia sareste? Un figlio può essere concepito senza essere pensato, può essere cercato a tutti i costi, oppure arriva in una delle tante possibilità comprese tra questi due estremi. Ogni concepimento, nascita, adozione, ha una sua storia da raccontare, più o meno consapevole, più o meno fortunata. La maturità e il livello di differenziazione di una relazione affettiva dipendono sostanzialmente dalle caratteristiche di personalità dei partner, non dal loro orientamento sessuale. È questa una delle ragioni che ha spinto l’American Academy of Pediatrics ad affermare che purché «coscienziosi e capaci di fornire cure», anche gli omosessuali possono essere «ottimi genitori».
Nei mesi scorsi Il Saggiatoreha stampato la versione aggiornata di uno fra i testi più importanti che riguardano la vita e le esperienze delle persone lebsiche e gay, il Suo Citizen Gay. Affetti e diritti. Rispetto all’edizione precedente, che aveva un altro sottotitolo (Famiglie, diritti negati e salute mentale. n.d.a.), che cosa è cambiato in Italia in cinque anni, in termini di famiglie composte da persone dello stesso sesso con uno o più figli?
Vittorio Lingiardi: In Italia, dal punto di vista giuridico, purtroppo niente è cambiato. Mentre nel mondo sono cambiate moltissime cose. Mi limito a ricordare questa dichiarazione rilasciata dal Presidente degli Stati Uniti il 9 maggio 2012: «Ritengo che le coppie dello stesso sesso debbano potersi sposare. […] Ero restio a usare il termine matrimonio perché evoca tradizioni molto forti e radicate. E pensavo che le leggi sulle unioni civili per conferire i diritti alle coppie gay e lesbiche potessero essere una soluzione. Ma nel corso degli anni ne ho parlato con amici e familiari. Ho pensato ai membri del mio staff che hanno relazioni di lunga durata con persone dello stesso sesso e che stanno crescendo dei bambini insieme. […] Mi sono reso conto che, a causa dell’ineguaglianza nel diritto al matrimonio, le coppie dello stesso sesso che si amano non sono considerate, ai loro occhi e a quelli dei loro figli, cittadini a tutti gli effetti. […] Rispetto le convinzioni degli altri e il diritto delle istituzioni religiose di agire in conformità alle loro dottrine. Ma credo che, davanti alla legge, tutti gli americani dovrebbero essere trattati allo stesso modo». E il 7 marzo 2012 Ban Ki-moon ha dichiarato: “Non siete soli. La vostra lotta per porre fine alla violenza e alla discriminazione è una lotta condivisa. Ogni attacco contro di voi è un attacco ai valori universali delle Nazioni Unite e io ho giurato di difenderli e sostenerli. Oggi, sto con voi e mi appello a tutti i paesi e a tutte le persone a stare con voi”. Nell’attesa e nella speranza che anche da noi i cittadini omosessuali smettano di essere cittadini di serie B (rendiamoci conto che nel nostro paese viene sistematicamente affossato con pregiudiziale di incostituzionalità un testo di legge che inserisce come aggravanti di reato i fatti commessi «per finalità inerenti all’orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa») ho pensato che non possiamo non sentirci cittadini del mondo e così ho raccontato i tanti straordinari cambiamenti che in tutto il mondo hanno trasformato la politica del disgusto in politica dell’umanità.
Gli assunti più frequenti utilizzati da chi si schiera contro le famiglie composte da persone dello stesso sesso sono due, quello secondo cui le lesbiche ed i gay non sarebbero in grado di crescere una creatura e quello che vedrebbe le figlie ed i figli di persone omosessuali come più problematici a livello psicologico. Quanto c’è di errato in queste asserzioni?
Vittorio Lingiardi: Il tema dell’omogenitorialità è oggetto di molte controversie, molte delle quali non sono basate su dati scientifici o clinici, ma su convinzioni personali e religiose. “Per fare e per crescere un bambino”, sostengono alcuni, “ci vogliono un padre e una madre: un bambino che cresce con genitori omosessuali cresce in un contesto che nega la differenza dei sessi”. Tale obiezione sembra però trascurare l’importanza, ai fini di uno sviluppo sicuro, della qualità delle relazioni, della capacità dei genitori di amare e fornire cure. Per essere buoni genitori non basta essere eterosessuali, così come essere omosessuali non significa essere cattivi genitori. Riguardo alla differenza dei sessi e dei generi, i processi di identificazione del bambino sono molto articolati e non si limitano alle figure del padre e della madre. Il bambino si relaziona anche con altri membri della famiglia, a cominciare dai nonni, e dispone di modelli identificatori anche all’esterno, nella scuola e nella società. D’altra parte, dinamiche analoghe avvengono anche nelle famiglie con un solo genitore. La ricerca scientifica sembra non avere trovato alcuna ragione per considerare i genitori omosessuali alla stregua di “genitori inadeguati” o, sarebbe meglio dire, “meno adeguati dei genitori eterosessuali”.In sostanza, quanto alla capacità di fornire un ambiente adeguato di accudimento e crescita per i loro figli, non ci sarebbero differenze tra genitori eterosessuali e genitori omosessuali. Per giungere a una conclusione che considero molto importante togliamo l’aggettivo “etero” e “omo” e parliamo di genitorialità.Quello dell’omogenitorialità è tuttavia un campo di ricerca molto complesso, che richiede studi scrupolosi in tema di validità e affidabilità empirica: i campioni studiati devono essere rappresentativi della più ampia popolazione di genitori gay e lesbiche, i gruppi di studio e di controllo devono essere omogenei, e soprattutto i campioni studiati non devono essere “di convenienza”.
Lidia Borghi