Quando lo scherno diventa atto omofobico
di Lidia Borghi
Un incontro di beneficenza e aggregazione nel cuore amministrativo di Sampierdarena, uno fra i più popolosi e disagiati quartieri di Genova, una cena collettiva di fine anno. Invitati speciali cinque giovani ragazzi ospitati nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, profughi dal Gambia, un piccolo Stato africano incuneato nel Senegal e stretto fra Guinea Bissau e Mali.
Le associazioni di promozione sociale attive sul territorio, fra cui la Casa di quartiere, hanno preparato il cenone, intitolato Coloriamo capodanno a Sampierdarena, il presidente della giunta del Municipio II Centro Ovest, Franco Marenco, ci ha messo l’idea e la sala consiliare e l’assessora alla cultura, Maria Elena Buslacchi, ha coordinato l’organizzazione.
Durante la cena la donna omosessuale che sono ha dovuto cedere il passo alla cronista per non reagire a un episodio omofobico avvenuto sotto i miei occhi: il più giovane tra i profughi africani ha avvicinato a sé un amico mio scrittore buttandogli un braccio al collo per sussurrargli all’orecchio frasi affettuose; in quella un commensale ha esclamato: “Attento sai! Sei alto, biondo e con gli occhi azzurri, potresti piacergli…” Il giovane autore non ha battuto ciglio. Io, impassibile, mi sono limitata ad alzare lo sguardo dal mio piatto per osservare le reazioni altrui: l’incauto commentatore ha riso, mentre le persone intorno a noi hanno continuato a cenare, senza raccogliere la provocazione; la sequenza degli eventi si è ripetuta dopo qualche minuto. Stessa reazione da parte di tutte/i le/i commensali, identica impassibilità da parte mia.
L’omofobia è come un fiume carsico che si fa strada nel sottosuolo erodendo le rocce circostanti; ora provate a immaginare come le persone omosessuali possano vivere episodi come quello che ho appena riportato: un continuo logorio psicologico che finisce, con l’andar del tempo, per avere ripercussioni sul corpo. Fu Vittorio Lingiardi (Citizen gay. Affetti e diritti, 2012) a parlare fra i primi in Italia di minority stress o stress da minoranza: “Chi appartiene a una minoranza per via del proprio orientamento omosessuale (…) spesso non trova sostegno neppure nella propria famiglia, che può anzi assumere atteggiamenti ostili e di rifiuto esplicito. Così, succede di sentirsi discriminati, o di doversi «nascondere», non solo, per esempio, a scuola, ma anche a casa.”
Si potrebbe obiettare come quel giovane avesse pronunciato tali frasi in quanto già alticcio per aver mescolato più vini durante la cena e che in fin dei conti è solo un ragazzo, il clima era allegro, le coetanee intorno a lui lo guardavano affascinate dal suo aspetto fisico, ma non è così: alla cronista che è in me, ancor prima che alla donna lesbica, sfugge il motivo per cui, al di là della storia personale di ognun* di noi, in diverse occasioni i maschi si sentano legittimati a fare la battuta omofobica oppure a deridere il malcapitato di turno dandogli del gay qualora quello non si dimostri mascolino a sufficienza.
Un gran numero di studi scientifici, per la maggior parte di origine statunitense, ha da decenni dimostrato – non che ce ne fosse bisogno – che l’omosessualità è una variante naturale della sessualità umana, ma l’Italia resta un Paese arretrato e inarretrato rispetto all’assimilazione di quei trattati e alla loro messa in pratica a livello sociale, attraverso il Parlamento e l’applicazione della Carta Costituzionale, stante il perdurare di una condizione di minore sviluppo culturale che fa il paio con il maschilismo patriarcale.
Le occasioni di documentazione non mancano e oggi grazie al web, che è in grado di fornire la giusta documentazione a chiunque lo voglia, la gente non ha più scuse per dire “era solo uno scherzo”.
L’epoca delle cadute dal pero è terminata. L’opinione pubblica deve assumersi le proprie responsabilità smettendo di puntare il dito contro la presunta anormalità di chi è altro da sé. Ad andarci di mezzo sono le vite di persone che condividono la stessa nostra umanità e donnità.