Please, Say Hello to the Inclusion
Stewart Hendler è – come lui stesso ha scritto sul suo sito ufficiale – è un regista il cui scopo è duplice: far provare emozioni oppure – e ciò pare sia lo stesso – far acquistare qualcosa. Specializzatosi dapprima in opere di Science Fiction aliena, Hendler è davvero bravo, a giudicare dalle tante nomination e dagli innumerevoli premi che i suoi lavori hanno accumulato con il tempo.
Il nostro autore scrisse e diresse un cortometraggio intitolato One(USA, 2003, 6′,47”)e il risultato finale fu così bello per gli effetti speciali utilizzati in post produzione, che Hendler finì per suscitare la curiosità di alcuni agenti della Creative Artists Agency; così, da quel giorno in poi, divenne l’autore di spot pubblicitari appartenenti ai più importanti marchi statunitensi.
Si diceva della propensione di Hendler per le emozioni che riesce a suscitare in chi guarda: per questo motivo gli venne commissionata addirittura la campagna nazionale di inizio millennio per la lotta alla droga, anche se i suoi corti – compreso quello di cui mi accingo a parlare – spiccano perché quelle emozioni ce le inducono in modo semplice quanto efficace, a partire da un uso delle immagini di profondo impatto, soprattutto emotivo.
The Closet (USA, 2008, 3′,27”) è un corto che, a partire da un semplice saluto, ci prende per mano e ci conduce nel mondo dell’inclusione di coloro che la società – qualunque società – considera diversi.
Un anziano con evidenti problemi di deambulazione sta percorrendo un marciapiedi, l’andatura malferma, quando si accorge di avere una scarpa slacciata; prova a chinarsi per avere la meglio su quei lacci troppo lunghi, che ne pregiudicherebbero il già precario incedere ma la stampella, sino a poco prima l’unico appiglio sicuro, si rivela d’impaccio; il nostro protagonista desiste quando, dalla siepe posta alla sua destra, spunta un pallone. E i ricordi cominciano a prendere il sopravvento sul tempo presente.
Così, quel vecchio provato dalla vita si trasforma d’un tratto in un giovane poco meno che adolescente; nel suo caso la siepe fa da parete divisoria fra il suo parco giochi casalingo e quello di un altro bambino. Il piccolo uomo attende, lo sguardo rivolto in alto, oltre la fitta verzura. A mo’ di segnale una palla piomba dalla sua parte di prato, lanciata da chissà chi; l’eroe del nostro corto prende a correre verso casa, si infila nella sua camera da letto non prima che un altro giovanetto si sia introdotto nello stesso vano dalla finestra – lasciata socchiusa apposta per facilitarne il transito – al fine di nascondersi nell’armadio. Il protagonista bambino fa allora alcuni palleggi con la sfera di gomma e il suo compagno di giochi capisce che è ora di uscire. I due si scambiano un semplice “Hello!”, si sorridono e si prendono per mano. La cosa si ripete per un periodo che ai due sembra infinito. Non c’è malizia nei loro occhi, limpidi e sinceri come il sentimento che li lega. E quel vecchio, riavutosi dal suo lontano ricordo, si ritrova per un istante di nuovo aggrappato alla sua gruccia. Quindi i ricordi hanno ancora la meglio su di lui: che ci sia il sole o nevichi i bimbi rinnovano la loro tacita intesa, fatta di incontri che solo un occhio adulto avvezzo al pregiudizio considererebbe riprovevoli. Eppure i due giovani in erba continuano a mantenere intatto il loro segreto, grazie a quella semplice quanto efficace parola d’ordine: “Hello!”. Fino al giorno in cui una cinghia, retta da una mano alla fine della quale si trova il braccio adulto di un genitore impreparato non giunge a spezzare l’idillio. L’armadio è vuoto, ma la mente di quel piccolo adulto si riempie di sorpresa mista a vergogna, mentre nel suo sguardo inizia a comparire la paura. E torna quel vecchio malandato, ai cui piedi la palla si ferma, impigliandosi fra le sue estremità. Quel che segue deve essere visto, al fine di comprendere quanto l’inclusione possa fare la differenza, nella vita delle persone, fra un’esistenza di sorda solitudine ed una quotidianità piena di affetti.
Il finale di The Closet è sorprendente e davvero riesce a stupirci, strappandoci un sorriso di compiacimento, mentre i titoli di coda cominciano a scorrere sullo schermo e noi pensiamo: “Grazie al cielo c’è ancora una sottile speranza…” Quella speranza potrebbe essere trasferita alle nuove generazioni, alle quali dovremmo lasciare in eredità un mondo un po’ meno problematico di come lo abbiamo trovato, anziché continuare a perpetuare i nostri pensieri violenti e malvagi di discriminazione nei confronti di coloro che la società considera diversi solo perché non conformi a norme sociali imposte.
Diretto da Stewart Hendler grazie alla potente sceneggiatura di Richard Bloom e prodotto dagli stessi Hendler e Bloom e da Kim-Minh Humberwald, The closet ha visto la partecipazione di Jay Edwards nei panni dell’uomo vecchio e di Andy Scott Harris in quelli del suo omologo giovane, mentre il piccolo nell’armadio è interpretato da Dalton O’dell; dobbiamo invece dire grazie a Kevin Gosselin se la fotografia di questo bellissimo cortometraggio ha reso ancor più efficace la breve sequenza di immagini di The Closet.
Ci lasciamo alle spalle un 2012 che le cronache dei periodici ci hanno dipinto come intriso di violenza, sia verbale che fisica, ai danni delle due principali categorie umane fatte oggetto di discriminazione: le femmine e le persone omosessuali. Auguro a coloro che avranno la pazienza di guardare per intero questo video breve di trascorrere un 2013 ricco di grandi realizzazioni in àmbito personale; di esso fa parte anche l’inclusione di chi è altra, altro da noi. Senza parole o gesti d’odio.
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Lidia Borghi