Percorsi esistenziali. La scrittrice Anna Segre si racconta in 200 pensieri
Anna Segre è romana, dottora in medicina, psicoterapeuta, ebrea, lesbica e perfino mancina.
Dice di sé, tra le altre cose, in una specie di Curriculum vitae in stile Teatro dell’assurdo:
Cintura nera di abbuffate digiuni e pianto cortocircuitato
Laureata in eccesso sfocatezza e improvvisi lampi dopo la chiusura dell’otturatore
Rea confessa di sé, colpevole di sé, fin troppo consapevole di sé
Esperta di attese inani, aneliti sul vuoto e cocenti pentimenti.
Segre ha scritto due libriccini usciti nel 2018 con Lit Edizioni, 100 punti di ebraicità (secondo me)e 100 punti di lesbicità (secondo me)in cui affronta i due temi fondamentali della sua vita.
L’autrice si è chiesta cosa ci sia in lei di “inconfondibilmente”ebraico, visto che non è credente, osservante o praticante ma laica, e da queste considerazioni è nata la volontà di scrivere del suo laico ebraismo lesbico: nelle 200 puntesse, come ama definirle, le due caratteristiche sono fuse nella loro intima natura, tanto che non si riesce a vedere dove inizi l’una e dove finisca altra.
Anna Segre si definisce non appartenente, non assimilata, una che è piena di sinonimi e di contrari; il tessuto connettivo della sua anima è l’ebraicità, la parte prevalente del suo essere la lesbicità; è autentica, integra, non disconosce ciò che è, anzi, rimane se stessa “per garantire l’individualità dell’altro.”
Tenace il suo legame con la cultura, diventata presto un rifugio in cui rintanarsi per scampare alla violenza verbale del padre. “Il libro è un altrove, la porta di fuga. […] Mi aggrappo al libro per tenere la testa fuori dalla mia angoscia.” dice Segre, perché i libri non sono oggetti decorativi, ma vie d’accesso al mondo.
Un dissidio interiore senza soluzione di continuità, che non dà pace: anche questo fuoriesce dalla lettura delle duecento riflessioni di Anna Segre, che in un passaggio dice di sé: “Dopo anni di guerra intestina tra me e me, sono stata costretta a varcare i miei confini e a difendere la faccia, a tenerla, assediata com’ero da dentro e da fuori.”
Il suo coming out in famiglia è stato un coming inside, perché ha dovuto argomentare, spiegare prima di tutto a se stessa la giustezza, la naturalità, l’irrinunciabilità dell’essere lesbica; un’essenza sacra come le carezze sul corpo di una donna.
Ogni coming outè diverso dagli altri, perché le resistenze da superare non sono solo le nostre, ma anche quelle di chi abbiamo di fronte; Anna Segre aggiunge: “Non finisce, questo doversi definire, ed è coming out anche quando taccio, nella pausa necessaria a capire […]se vado bene oppure no, essendo me.” In un passo dei 100 punti di lesbicitàdichiara: “Non tacere, non vergognarti, non nasconderti – ma scappa, se arriva la violenza.” perché la discriminazione subita dalle donne è doppia, se si è lesbiche.
Il rapporto di Anna con il termine “lesbica” è simile a quello di molte donne omosessuali, che non riescono a pronunciare per intero la sola parola che le nomina e le rappresenta, per quanto goffa, tant’è che si fermano alla lettera Esse; per l’autrice è “cacofonica, limitante, stigmatizzante, insultante. […]Forse perché l’omosessualità femminile non ha nemmeno l’indegnità sociale.” La donna lesbica è invisibile e invisibilizzata, tranne quando diventa una bambola coi fili al servizio del maschio infoiato.
Anna lascia sempre una parte di sé in tutte le donne che ha amato con il suo bisogno compulsivo d’amore: “La mia fedina affettiva è lunga.” dice, “Devo onestamente constatare di non avere altro motore che l’affettività.” Ama di un amore folle con una brama ardente di disgregarsi nel corpo dell’altra per divenire un corpo solo; la visione dantesca dell’amore come regola dell’universo abita in lei.
In questi due libri i concetti mentali e quelli percepibili si fondono in armonia; ora graffiano, colpiscono per durezza, crudezza, ruvidità ora gratificano, accarezzano e inteneriscono per la grande consapevolezza di sé dell’autrice, una donna che sa riempire di stupore con la sua prosa acuta.