“Per rinfrancar lo spirito” tra un articolo e l’altro
Le feste natalizie in corso mi offrono la possibilità di fare alcune considerazioni di fine anno, per salutare le lettrici ed i lettori di Rosso Parma e di questa piccola rubrica bambina, colorata come l’arcobaleno, sulla quale ho l’onore di scrivere.
Il 2014 è stato un anno terribile per molte persone, qui in Italia – non mi soffermo sulle infime condizioni in cui versa il Sud del mondo, affamato da un Nord incivile che pratica solo il culto del profitto – e mi riferisco a quante e quanti hanno perso il lavoro, a coloro che vivono la precarietà sulla loro pelle, alle morti bianche, alle vittime del bullismo omo/transfobico, alle donne i cui occhi si sono spenti sotto il fuoco nemico di mani nude, calci, oggetti affilati o contundenti, conditi dalle parole d’odio di uomini votati alla violenza, quella che scaturisce dal presunto possesso dell’altrui persona.
Questo mio non vuol essere un articolo di commiato dall’anno vecchio, in attesa di quello nuovo, con tanto di elenco di buoni propositi finti, né un mero bilancio deprimente di tutte le nefandezze occorse nel nostro Paese durante questi dodici mesi, ma un dono di speranza per quante e quanti, rósi dal mal di vivere, decidono di non arrendersi e, le maniche ben rimboccate, non hanno mai smesso lavorare su di sé, al fine di ritrovarsi e, grazie alla nobile ed arricchente pratica del caregiving, spendono parte del loro tempo ad accudire parenti, amiche, amici, conoscenti ed individui sconosciuti che vivono in condizione di elevato disagio esistenziale.
Il mio pensiero – di certo non dettato dalla coincidenza festaiola – va, prima di tutto, alle ed agli assistenti sociali ovvero a coloro che respirano ogni giorno il malessere esistenziale di minori nate/i in famiglie in cui quel disagio parla loro di prostituzione, droga, dipendenze, usura, salute mentale malferma, reiterate violenze psicologiche o fisiche o di entrambi i tipi, precarietà lavorativa; a quelle addette ed a quegli addetti ai lavori va la mia più sentita gratitudine.
E poi ci sono le volontarie ed i volontari che, a turno, di sera, quando il chiasso assordante del giorno si spegne e, complici le tenebre, le persone senza fissa dimora si riappropriano degli angoli più fetidi delle grandi città, con i loro logori cartoni, quelli, armati di coperte e generi di conforto, prestano loro soccorso, mentre si accertano che le ultime e gli ultimi della Terra possano sopravvivere ai rigori invernali per un’altra notte ancora; uno di codesti angeli silenziosi un giorno mi disse che i cosiddetti barboni (ho un odio viscerale per questa parola) sanno bene di dover tenere il più possibile al caldo tre parti, più di tutte, del corpo: la testa, la schiena e le estremità.
Una delle forme di volontariato più a rischio di scomparsa, nelle grandi città come nei piccoli centri – si dice a causa degli ingenti debiti delle Istituzioni locali – è rappresentata dai centri di accoglienza ed ascolto delle donne che subiscono violenze domestiche da parte del convivente; il lavoro svolto dalle donne coinvolte nei tanti progetti cittadini di questo tipo è prezioso ed encomiabile, pur tra mille difficoltà, non ultima quella di una norma becera che impone alle Forze dell’ordine di non intervenire, se non quando oramai il danno fisico è stato consumato.
L’elenco dei miei pensieri d’amore potrebbe essere davvero lungo, ma mi limito a far giungere quello mio più colmo di riconoscenza alle numerose comunità di accoglienza che, con un lavoro che ha del miracoloso, riescono a recuperare alla vita attiva tante persone che ai margini sono finite a causa della tossicodipendenza, dell’usura – che spesso va a braccetto con la ludopatia – della prostituzione, del carcere. La mia gratitudine va, ora più che mai, alle donne, agli uomini ed alle persone transessuali della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova, fondata da don Andrea Gallo molti decenni fa; la forza dirompente dell’Amore Cristico che animava ogni azione del prete cacciato dal Carmine negli anni ’70, ha fatto sì che si venisse a creare, con il passare del tempo, una fitta rete di solidarietà fatta di associazioni – locali e nazionali – che ogni giorno affrontano l’altrui disagio esistenziale in zone depresse del Paese, come quelle ad altissima infiltrazione mafiosa, in cui i popolosi quartieri dormitorio delle periferie delle grandi città, sono diventati un comodo bacino cui i capi clan ed i loro schiavi armati attingono, per reclutare la bassa manovalanza giovanile da iniziare al perverso gioco malavitoso.
Dedico un pensiero, infine, alle psichiatre ed agli psicoterapeuti che ogni giorno, in ambulatorio come nella stanza della terapia, operano al fine di consentire alle lesbiche ed ai gay, che vivono il proprio orientamento affettivo altrocon grande angoscia, di ritrovare intatte, dentro di sé, quelle preziose risorse mentali di cui tutte e tutti, in certe fasi della vita, abbiamo un grande bisogno, per ripartire da quanto di buono alberga in noi; perché è solo dalla nostra rinascita interiore che può avere inizio il cambiamento dell’ambiente circostante e solo allora saremo pronte/i per instaurare con chi ci è prossimo delle relazioni d’amore stabili ed arricchenti.
È questo l’unico modo che conosco per cambiare il mondo.
Lidia Borghi