Omosessualità maschile e calcio in Italia, un tabù difficile da abbattere
di Lidia Borghi
In diverse parti del mondo l’omosessualità maschile nel calcio professionistico è stata a poco a poco sdoganata, ma in Italia i tempi non sono maturi perché si ammetta la presenza di giocatori gay.
Un passo indietro nel tempo: durante l’estate del 1982 la nazionale italiana stava partecipando ai mondiali di Spagna. Gli Azzurri erano giunti al girone eliminatorio e rischiavano di essere eliminati. La stampa italiana cominciò a bombardare gli undici di Bearzot con articoli negativi che alludevano alle loro scarse prestazioni; qualche buontempone pensò bene di diffondere la notizia secondo cui Paolo Rossi e Antonio Cabrini, compagni di stanza a Vigo, avevano una relazione. Vero o meno che fosse, la compagine italiana decise di mantenere il silenzio stampa fino alla conclusione dei mondiali.
Quell’evento fece sì che per la prima volta in Italia si parlasse di calcio e omosessualità. Da allora nulla è cambiato, i coming out sono stati rari in tutto il mondo e oggi i maligni possono attaccarsi solo a supposizioni degne del peggior giornalismo di punta.
Ci volle Alessandro Cecchi Paone, nel 2010, per smuovere le acque, infatti il giornalista fece sapere al mondo di aver avuto una relazione con due calciatori. Per il resto tutto tace, chi sa non parla e sembra che qualcuno abbia dimenticato le parole dell’ex commissario tecnico della Nazionale, Marcello Lippi, quando disse, nel 2009: «Onestamente credo che tra i calciatori di gay non ce ne siano. In quarant’anni non ne ho mai conosciuti. (…) Se qualcuno mi confessasse di essere gay, gli direi di vivere a pieno questa realtà.»
Veniamo ai giorni nostri: nel suo programma di responsabilità l’Uefa ha aggiunto la campagna Respect; fra i tanti punti in essa contenuti, quello della promozione della diversità è uno fra i più importanti, se non il fondamentale. All’inizio della stagione 2017/2018 l’ente ha presentato la nuova iniziativa di Respect, #EqualGame, fine della quale è favorire la diversità nel calcio europeo e “diffondere uno spirito positivo di inclusione (…) Il calcio può solo arricchirsi con una maggiore diversità.” Il comunicato parla anche della piena accessibilità al calcio da parte di tutti, senza dimenticare la parità dei sessi e la lotta alla discriminazione.
Nel 2016 il documentarista Matteo Tortora ha girato un cortometraggio dal titolo Il calciatore invisibile, incentrato su una squadra di calcio amatoriale formata da cinque ragazzi gay; una delle tante, afferma l’autore, poiché in Italia esiste un circuito di formazioni simili che partecipano a dei veri e propri campionati interregionali; un esempio è quello del gruppo The Outsiders Milano, che si è formato per fare attivismo LGBT attraverso il gioco del calcio.
Tortora sottolinea come questo tipo di agonismo dia la possibilità ai giocatori di sentirsi liberi di mostrare il loro orientamento sessuale senza temere di essere giudicati e derisi.
Nel video l’autore racconta la storia del Revolution Soccer Team, la squadra di calcio gay di Firenze nata nel 2008 e della singolare forma di attivismo LGBT che vi viene messa in pratica. All’inizio del suo video si legge che su 13.062 giocatori tesserati in Italia, quelli che hanno fatto coming out ammontano a zero, sembra quindi che nel calcio italiano non ci siano giocatori omosessuali. Sarà vero?
E pensare che nel mondo diversi atleti di nuoto, atletica, tennis, pallavolo e rugby hanno fatto coming out senza subire comportamenti omofobi né da parte delle federazioni né di chi frequenta l’ambiente sportivo di riferimento.
Insomma, il calcio italiano non ne vuole sapere di abbattere questa barriera. A quanto pare è preferibile tacere che fare squadra, proprio quando assumersi la responsabilità delle proprie azioni potrebbe fare la differenza tra vergogna e rispetto.