Oliver Sacks, le comunicazioni visive e il linguaggio dei segni
Il neurologo inglese Oliver Sacks dedicò il libro “Vedere voci” (Seeing Voices) pubblicato nel 1989, al linguaggio dei segni e alla cultura delle persone sorde. La sua analisi partì dalla comunità di sordi di Marta’s Vineyard, l’isola del Massachusetts nota perché, alla fine del diciassettesimo secolo, un uomo di mare originario del Kent vi si era ritirato a vivere insieme al fratello.
Entrambi portavano dentro di sé un gene che conduce alla sordità precoce e, complici l’isolamento degli abitanti dalla terraferma e i tanti matrimoni fra persone consanguinee, questo carattere ereditario venne trasmesso a molti dei discendenti dando vita, con il passare del tempo, ad una curiosa comunità di sordi totali all’interno della quale la minoranza era rappresentata dagli udenti.
A differenza di quanto accade di solito a tutti i gruppi minoritari, quello udente dell’isola atlantica non venne discriminato ma amalgamato ed assimilato. Il neurologo britannico parlò, nel suo libro – a proposito del “”paese dei sordi” di Vineyard – di una cultura visiva all’interno della quale tutti, sordi e udenti, utilizzavano il linguaggio dei segni per comunicare.
Fondamentale, quindi, nel saggio di Sacks, è l’indagine scientifica che ha portato l’autore ad approfondire lo strettissimo rapporto che esiste, per i sordi, fra le immagini e la parola a livello neurologico. La comunicazione visiva ha dato vita a delle vere e proprie lingue, tutte dotate di una grammatica, in ogni parte del pianeta. Così, per esempio, esistono una ASL (American Sign Language) negli Stati Uniti, una BSL (British Sign Language) nel Regno Unito ed una LSF (Langue des Signes Français) in Francia, nonché una LIS (Lingua Italiana dei Segni) nel nostro Paese. In esse la parola è sempre in azione e mette in atto comunicazioni visive che permettono alla vasta comunità di sordi sparsi in tutto il mondo di esprimersi attraverso una serie di codici trasmessi non solo con le mani, in quanto ad essere coinvolti sono anche la mimica e l’espressione del volto.
La sfida che la comunità sorda deve vincere ogni giorno è quindi variegata. Non si tratta solo di farsi capire – e per di più in un mondo in cui si dà per scontato l’uso dell’udito e della parola – ma anche di mettere in atto tutta una serie di meccanismi non verbali che coinvolgono i tanti processi psicosomatici che rendono la comunicazione visiva così efficace. Oliver Sacks ha chiamato questo complesso meccanismo “Linguaggio emotivo” e lo ha posto in stretta relazione con il concetto di consapevolezza. I sordi non possono permettersi di avere un intuito poco sviluppato e neppure di essere ignari del mondo che li circonda e che essi non sono in grado di udire.
Per questo motivo la loro consapevolezza si acuisce fin dai primi mesi di vita e li rende persone più sensibili, più attente alla percezione visiva, tattile ed olfattiva e più protese verso l’altro da sé, essendo dotate di una predisposizione all’ascolto emotivo del tutto unica. In merito poi al concetto di “comunità dei sordi”, Sacks ci parla di un vero e proprio gruppo culturale tenuto insieme dall’identità visivo/linguistica, così come accade a tutte le persone udenti unite dalla comunanza della lingua parlata.
L’analisi del neurologo britannico risulta quindi fondamentale, oggi, per studiare da prospettive diverse i complessi meccanismi del linguaggio e del sistema nervoso, nel tentativo di aiutare le famiglie con bimbe o bimbi sordi o sordastri (i soggetti il cui deficit uditivo è inferiore ai 40 decibel) ad affrontare la menomazione della sordità con una nuova speranza. Le conversazioni silenziose non rendono chi le mette in atto dei pagliacci derisi da tutti ma arricchiscono e predispongono a quell’ascolto emotivo di cui sopra e contribuiscono ad abbattere le barriere del pregiudizio che inducono molte famiglie a tenere isolati e nascosti i propri figli sordi. Sacks diceva che «non bisogna focalizzarsi sulla sordità del soggetto, sulla sua menomazione sensoriale, ma stimolare altri sensi allo scopo di recuperare le altre potenzialità intellettive».
La Lingua italiana dei segni, in particolare, è stata per molto tempo considerata una sorta di mimica abbreviata dell’italiano, malgrado essa sia formata da precise regole grammaticali, sintattiche, morfologiche e lessicali. Essa è un fondamentale strumento di trasmissione culturale in costante evoluzione e consente ai sordi di comunicare alla pari con il resto del mondo anche grazie ai suoi innumerevoli dialetti. La sua grammatica viene comunicata mediante il mutamento sistematico di luogo, direzione, durata, intensità e ampiezza dell’esecuzione dei segni, il che permette ai gesti di trasformarsi in suoni visivi comprensibili agli udenti. Il linguaggio dei segni consente quindi a chi vive nel mondo del silenzio, totale o parziale, di spezzare le catene dell’isolamento ed offre a chi è dotato dell’uso di tutti e cinque i sensi l’opportunità di imparare forme alternative di comunicazione volte a buttare giù le spesse mura del pregiudizio nei confronti di una minoranza di persone che non si sentono per nulla invalide.