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Ohrwurm, quando il ritornello diventa ossessivo

Il termine tedesco “Ohrwurm” (letteralmente “tormentone”) è stato coniato per indicare un diffuso disturbo passeggero della mente umana che va sotto il nome di “tarlo dell’orecchio” (“earworm” è la traduzione inglese) e che lo psicologo cognitivo Daniel J. Levitin nel 2006 definì “stuck song syndrome” (il disturbo del suono inceppato) ovvero un motivetto musicale che ronza in modo compulsivo nella nostra mente e che risulta tanto difficile da scacciare che due studiosi britannici, Phil Beaman e Tim Williams, hanno pensato bene di dedicargli due interi studi pubblicati sul “British Journal of Psychology”.

Il pensiero ripetitivo è stato spesso oggetto di analisi da parte della scienza e persino un grande medico come Edward Bach era riuscito ad isolare l’anima buona del fiore “White Chestnut” (il castagno bianco o Aesculus Hippocastanum) per curare le riflessioni e persino le immagini che si presentano alla mente di continuo. Non a caso il medico gallese parlava di pensiero circolare o ossessivo (che ricorda il termine inglese “looping”, spesso usato anche in campo informatico).

Come ci si comporta di solito quando si è colpiti da tale malessere? Spesso si tenta di distrarsi, anche se i risultati sono quasi del tutto nulli. Anzi, il pensiero si rafforza, la mente si affatica e l’insonnia è spesso dietro l’angolo. Allora che fare? Beaman e Williams suggeriscono di abbandonarsi al fenomeno, che spesso passa da solo nel giro di pochi giorni o addirittura di poche ore. I due psicologi britannici hanno svolto la loro analisi avvalendosi dell’aiuto di diverse decine di persone intervistate nella stazione ferroviaria di Reading, nel Berkshire e nei giardini Forbury.

Ebbene, la percentuale di coloro che almeno una volta nella vita avevano avvertito la presenza di un tarlo dell’orecchio è stata del 98% circa. I soggetti ansiogeni sono quelli a più alto rischio di “earworm”, mentre fra i ritornelli più ossessivi compaiono quelli dei programmi televisivi più diffusi. La parte più divertente dei due studi ha riguardato le strategie messe in atto dagli intervistati per tentare di togliere il chiodo fisso dal cervello.

C’è per esempio chi ha sperimentato le tecniche di meditazione o chi ha provato ad ingerire bevande alcoliche. I due ricercatori del Regno Unito hanno sottolineato che non è tanto importante trovare un rimedio al fastidioso malessere, che di rado viene vissuto come un problema grave. Beaman e Williams hanno semmai scoperto che la zona del cervello interessata dal fenomeno, la corteccia uditiva, è in grado di riprodurre gli effetti del “tarlo dell’orecchio” tanto a lungo da superare di molto la capacità della memoria uditiva stessa, quella che fa sì che il suono venga ripetuto in modo consapevole nella nostra mente. Il resto lo fa la memoria a lungo termine, quella che viene attivata dal tarlo stesso.

Da qui la ricorrenza spesso ossessiva del motivo musicale ascoltato. Inoltre, più il brano è famoso, più risulta difficile toglierlo dalla mente. Ciò spiegherebbe, secondo gli psicologi britannici, perché molte fra le persone consultate abbiano citato canzoncine o tiritere ascoltate durante l’infanzia fra quelle che più spesso si trasformano in tarli. Insomma, a quanto pare non esistono rimedi per il fenomeno del suono inceppato e il fatto di conoscere l’origine di questo fastidio mentale non contribuirà certo a farci dormire sonni più tranquilli. Sfideremmo chiunque a tentare di prendere sonno con il valzer di Strauss che rimbalza di continuo fra i muri di gomma della nostra mente.

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