Monsterbox. La grazia della diversità non ha bisogno di parole
Torno volentieri a parlare di cortometraggi animati, per segnalare Monsterbox(F, 2012, 7′,41”) una piccola meraviglia piena di colori che, quattro anni fa, rappresentò il saggio di fine anno di tre studenti maschi ed una studente delle Bellecour Écoles d’Art di Bellecour, Francia: Derya Kocaurlu, Ludovic Gavillet, Lucas Hudson e Colin Jean-Saunier; a queste quattro promesse del filmato d’animazione dobbiamo la produzione e la direzione di una storia che contiene diverse chiavi di lettura.
Complice una musica graziosa ed accattivante (di Erwann Chandon), il corto si apre con una carrellata sulla vegetazione che circonda la casa e la bottega di legno di un anziano fioraio (oppure è un falegname? Chissà…) intento a disegnare; l’uomo è a tal punto assorto che, nel momento in cui la campana a vento posta all’ingresso del negozio suona, non può far altro che trasalire. Cambio di scena: una bambina piena di capelli posa in un vaso la piccola cazzuola con la quale, poco prima, aveva colpito lo strumento musicale; si avvicina al banco e, dopo aver curiosato un po’ intorno, tira fuori dal tascapane che tiene a tracolla il suo piccolo amico, per mostrarlo al fioraio il quale, vedendolo, viene preso dallo spavento a causa delle fattezze di quello che potrebbe esser definito un mostriciattolo. La sua piccola amica vorrebbe acquistargli una casetta di legno e ne indica una fra quelle appese, ma l’anziano proprietario le fa notare, con gesti burberi e brevi grugniti, che quelle sono destinate ai volatili, al che lei, senza perdersi d’animo, fa indossare al suo cucciolo azzurro un paio d’ali posticce. Una volta convinto, l’uomo apre la cassa e viene pagato, dopo di che porge all’avventrice una serie di piccole assi di legno tenute insieme da uno spago che, una volta slegato, fa sì che la casetta si metta insieme da sola. Mostro soddisfatto, fioraio pagato, bimba sorridente. Cambio di scena: il vecchio uomo è chino su una pianta, alla quale sta togliendo alcune foglie morte; in quella, fuori scena si ode lo stesso scampanellio della volta scorsa: l’uomo, alquanto infastidito, vede che ad entrare è la cliente di qualche tempo prima, la quale sta trainando un carrettino; al suo interno il piccolo mostro blu ed un altro, goloso di fiori freschi, colorato sui toni del giallo e dell’arancio, gli occhi cerchiati di rosso, un discreto naso a patata e diverse corna arrotondate sulla testa. Incuriosita, la piccola si mette a toccare qualsiasi oggetto presente nel negozio, mentre il proprietario è intento a porre in salvo tutto ciò che, al di lei passaggio, rischia di cadere; il suo atteggiamento è tra l’infastidito e il divertito, poiché quella birbante della giovane capelluta ha un fascino irresistibile, con il quale gli domanda una casetta un po’ più grande per il mangiatore di gemme con la coda a forma di infiorescenza. Tra una scena rocambolesca e l’altra la lignea tana viene scelta, l’intraprendente bambina salda il suo debito, l’anziano è soddisfatto e… Non è finita qui: durante un noioso pomeriggio, che vede il negoziante ciondolare sul banco, la pupetta si rifà viva, questa volta accompagnata da un’enorme creatura dalla dentatura spropositata, che fa cadere dalla sedia il povero vecchio, impaurito alla vista di quel mostro. Questi tenta di entrare nella bottega, ma finisce per rompere piante, vasi e creazioni floreali, suscitando le ire dell’uomo, che caccia in malo modo l’allegra brigata, munito di scopa, dopo che il cornuto amico della piccola peste s’è divorato un intero bonsai. La bimba se ne va mortificata, per non tornare mai più. Passa qualche tempo. L’anziano proprietario si sente solo e, sconsolato, osserva il vasetto in cui sono riposte le colorate foglie con le quali la cliente lo aveva pagato. Così, un giorno, l’uomo si decide a recarsi in collina: lassù, a ridosso del fusto di un grande albero chiomato, vivono la bimba ed i suoi colorati amici. E succede qualcosa che ha del miracoloso.
Chi volesse scoprire come vada a finire la vicenda narrata nei sette minuti circa di Monsterbox, non deve far altro che guardare il corto sino alla fine, per sorridere e per cogliere appieno i molti significati di un piccolo capolavoro che, come i tanti usciti dalle produzioni scolastiche di accademie e laboratori di animazione sparsi per il mondo, ci danno modo di apprezzare il talento di giovani che hanno avuto ed hanno la possibilità di imparare una professione arricchente e gratificante come la computer grafica.
Chi ha visto per intero il corto in questione, si sarà accorto che neppure una parola viene pronunciata, durante la vicenda, dal negoziante e dalla bambina, ai quali è sufficiente accompagnare i gesti con piccole emissioni vocali, come a dire che le parole sono superflue per cogliere tutte le chiavi di lettura che allo spettatore ed alla spettatrice vengono in mente, di volta in volta: accoglienza di chi è diverso/a senza pregiudizi, ascolto, accettazione delle esigenze altrui, apertura mentale, cuore in ascolto e tanta volontà di superare gli stereotipi. Il resto potete aggiungerlo voi.
Lidia Borghi