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L’ultimo dei (Domini)cani in chiesa

Questo articolo è uscito sul numero di agosto/settembre di Tempi di fraternità


Questo articolo è stato pubblicato anche su Progetto Gionata
Diario di un funerale dove mille mani hanno applaudito parole colme d’amore nei confronti della vita, di don Andrea e delle persone sofferenti


25 maggio 2013, ore dieci del mattino. La pioggia cade incessante sul suolo cittadino. Sono le lacrime di Genova per don Andrea. Il feretro parte dalla chiesa di San Benedetto al porto seguito da un corteo di persone che hanno scelto di sfidare le intemperie pur di stare vicine al Gallo sino all’ultimo. “Il Gallo”. Così lo chiama da sempre la donna che gli è stata accanto per decenni, Lilli, la sua assistente personale. L’interminabile sequenza di varia umanità dolente percorre le strade cittadine lungo un percorso studiato a tavolino con la Prefettura. Per questioni di sicurezza – viene spiegato a noi giornaliste e giornalisti durante la conferenza stampa del giorno prima – coloro che accompagnano il carro funebre non potranno accedere alla chiesa del Carmine, quella stessa dalla quale, durante gli anni ’70, l’allora cardinale arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, espulse il vice parroco Gallo.
Subito dietro l’autoveicolo procedono a passo d’uomo e di donna tutte le anime salve che hanno collaborato con il prete degli ultimi durante la sua strenua attività sociale al fianco di tossicodipendenti, prostitute, gente da galera; uno soprattutto mi preme ricordare: Domenico “Megu” Chionetti, l’instancabile segretario e coordinatore di mille eventi che videro il Gallo intervenire a convegni, dibattiti, presentazioni di libri e quant’altro. E, insieme a lui, uomini e donne di tutte le estrazioni sociali e di tutte le età.
Il corteo giunge al Carmine alle undici circa. Dal recinto riservato alla stampa me ne accorgo perché a poco a poco, come un’onda benefica, il vociare di quelle anime mi giunge sempre più netto. Ad attendere il Gallo, i visi rigati dalle lacrime, le tante persone – note e meno note – che da più di un’ora si trovano all’interno del luogo di culto; fra loro noto Regina Satariano, Dori Ghezzi, Alba Parietti, Vladimir Luxuria, Shel Shapiro, Gennaro Migliore, Paolo Ferrero, Maurizio Landini, il presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando, assai commosso e il sindaco di Genova, Marco Doria.
Ad officiare, insieme all’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, ben 38 sacerdoti, fra cui Federico Rebora, il vecchio parroco di San Benedetto che, subito dopo la cacciata del Gallo dal Carmine, lo accolse nella sua canonica. E poi Alessandro Santoro, Paolo Farinella, Valentino Porcile e, accanto a Rebora, un compagno speciale di tante avventure nel sociale, per il Gallo: Luigi Ciotti, al quale dobbiamo un intervento infuocato che ha urlato forte contro l’illegalità, il malaffare e la corruttela. Mille voci si sono più volte innalzate al cielo, mille mani hanno applaudito quelle parole colme d’amore nei confronti della vita, di don Andrea e delle persone sofferenti. Mille cuori palpitanti all’unisono e mille testimonianze di calore umano che ho potuto raccogliere durante il mio servizio di cronista.
La studente Valentina Genta ricorda i sentimenti che le hanno riempito il cuore quando, la sera prima, durante la veglia organizzata dalla gente della Comunità di San Benedetto al Porto, ha voluto rivolgere l’ultimo saluto a quel don che sente anche suo: «Tutto era come sospeso, le parole faticose, i pensieri appesantiti. Ho guardato un compagno in piedi a fianco a me, gli ho chiesto piano se gli andava di accompagnarmi vicino al feretro, per dirgli l’ultima volta grazie, col cappello, la bandiera della pace. Mi ha risposto che queste cose gli fanno paura, ma che assieme a me si poteva fare, anche se con fatica.»
Regina Satariano mi confida di essere scoppiata in un pianto irrefrenabile, quando ha appreso della morte del suo amico e poi mi ha parlato della comunione e dell’ostia consacrata colta dalle mani di Angelo Bagnasco: «Posso dire che sono stata sollecitata da Vladi; premetto che avevo sottolineato che alla Comunione va prima la confessione ma Vladi mi ha suggerito che il nostro rapporto con Don ci aveva assolto da questo obbligo. In quel momento ho sentito di farlo; dopo ho sentito il bisogno di chiudere gli occhi e tutto, intorno a me, per incanto, sembrava non esserci più. Sentivo il suo profumo. Ho sentito il bisogno di inginocchiarmi ed accarezzarlo sebbene io sapessi di accarezzare il legno che lo conteneva».
Il musicista Vittorio Attanasio del giorno dei funerali di don Gallo ricorda il dolore ed il pianto, quest’ultimo mescolato alla pioggia. Mentre seguiva il carro funebre, un fuoco di fila di sentimenti lo ha pervaso: «Ho camminato sotto la pioggia, il passo cadenzato dalle percussioni, la voce dal canto partigiano. Ho trovato posto sulla piazza, appoggiandomi al palo di un segnale stradale. Ho cantato e pianto, ricordando i pochi incontri, le poche parole scambiate con quell’uomo, prete e per tutta la sua vita partigiano. Ritrovatomi seduto a terra ho pensato: “E adesso? Dovrò metterci del mio per dare concretezza al mio altruismo fino ad oggi fatto solo di intenzioni, altrimenti cosa ne sarà di quell’esempio a cui tante lodi ho riservato? Adesso cosa ne sarà di ‘loro?’. Cosa ne sarà di noi? Prima c’era lui ma ci ha lasciato soli. Sarò in grado di trasformare in azioni, le mie intenzioni?”»
Il fotografo Pino Bertelli cita “il prete partigiano che non aveva timori a cantare nella sua chiesa ‘Bella ciao’ insieme ai convenuti” nella prefazione all’ultimo libro di don Andrea, Un trafficante di sogni in cammino con Francesco(Chiarelettere, 2013): «Le sue parole, sentite fino alla commozione, evocano la chiesa dei poveri nella quale credeva e anche in queste pagine non cessa di essere un “trafficante di sogni” che a fianco degli ultimi, degli esclusi, dei diversi, degli sfruttati… lotta per la fine delle disuguaglianze e la conquista di una società più giusta e più umana. Il diritto di avere diritti si rinnova a partire da una coscienza più profonda del valore di giustizia, fondamento della democrazia partecipata. Grazie a te, amico caro, maestro di vita piena, ho compreso che la libertà non si concede, ci si prende.»
Chi pensasse che la morte di don Andrea rappresenti la fine di una lunga, travagliata ma meravigliosa avventura sbaglia, poiché quello del Gallo era solo il primo volume di un’enciclopedia dell’amore che stanno contribuendo a scrivere tutte le persone che lo hanno conosciuto, che ne hanno seguito l’esempio, che continuano a farlo e che, rimboccandosi le maniche, consce della pesante eredità civile e morale lasciata loro in dono, passo dopo passo ne perpetuano la memoria attraverso azioni concrete di impegno sociale sempre al fianco di chi è respinto dalla società.
Fuoriuscito da una porta laterale del suo Carmine nel 1970, don Andrea vi è rientrato da quella principale, prendendosi una netta rivincita morale sull’intero apparato curiale genovese che, per tutto questo tempo, con terrore ne ha spiato da lontano le azioni a favore dell’umanità oppressa. Così il prete degli ultimi, ultimo dei (Domini)caniin chiesa, uscendo da quel portone affollato di gente comune, portato in spalla dai camallidel Porto di Genova, ha iniziato l’ultimo viaggio, il più importante, quello che lo ha portato alla sua sacra destinazione, al fianco di quel Padre amorevole che tutto vede e che tutto ama. Da quella posizione privilegiata il Gallo sta vegliando su tutte e tutti noi e, ogni tanto, durante le notti odorose di gelsomino, scende qui con noi a farci compagnia e ad alleviare il pianto di chi è disperato. Lo sento. È come un dolce zefiro. Non lo vedo, ma lo percepisco.

Lidia Borghi

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