Leo e Gabriel. Una storia semplice
Durante una delle mie tante scorribande sul web, alla ricerca di cortometraggi degni d’esser recensiti, mi sono imbattuta in un video di qualche anno fa, intitolato Eu não quero voltar sozinho (Br, 2010, 17′, 02”); fin dai primissimi fotogrammi sono rimasta colpita dallo sguardo mite del protagonista, Leo (Ghilherme Lobo), un adolescente cieco che, grazie ad un apparecchio che converte i suoi pensieri nel linguaggio Braille, riesce a frequentare la scuola superiore; al suo fianco Giovana (Tess Amorim), una premurosa amica, ma anche una confidente, la cui sensibilità trae spesso d’impaccio il giovane compagno.
Interno giorno. Primo piano sugli occhi del protagonista, il cui sguardo fissa un punto lontano. Il ticchettìo della macchina da scrivere in Braille è incessante; ogni tanto il suono di un campanellino avverte che è ora di andare accapo. La scolaresca è impegnata in un compito in classe. Qualche buontempone pensa sia giusto prendere per i fondelli il giovane studente. Menomato, direbbe qualcuno. Del cervello dei bulletti non è dato sapere. Non pervenuto. Spianato. Bruciato dai pregiudizi appresi in famiglia. In aula è giunto un nuovo allievo, Gabriel (Fabio Audi). Impacciato, timoroso di ricevere pure lui qualche battutina spiacevole, preferisce fare lo schivo. Non si sa mai che non gli riesca di passare inosservato. Al suono della campanella, l’ambiente si svuota nel giro di qualche secondo; a restare Leo, Giovana ed il nuovo collega, il quale viene invitato dalla ragazza a fare un pezzo di strada insieme, dato che si accinge ad accompagnare fin sotto casa il suo amico. E, ben presto, quel rituale quasi quotidiano diventa a tre: Leo comincia a frequentare Gabriel in modo assiduo, complice una ricerca di Storia e tutto cambia. Qualcosa di meraviglioso, di prorompente, di forte, come la vita che, pur di farsi notare, prende a scalpitare, per far sì che anche le anime più recalcitranti possano risvegliarsi all’amore.
Per sapere come va a finire Eu não quero voltar sozinho, occorre vedere il corto sino alla fine, poiché non sarebbe bene perdersi questa storia semplice e delicata, in cui la matematica del cuore – così ben espressa in pochi fotogrammi dal regista e sceneggiatore Daniel Ribeiro – trova il suo compimento nel momento in cui due labbra sconosciute incontrano altre due labbra e tutto si chiarisce. I conti tornano, infine. Perché così dev’essere e perché così accade ogni volta che lasciamo che ad agire sia quell’amore universale, le cui equazioni sono note al cuore e ad esso solo; senza elucubrazioni mentali astruse quanto inutili, senza permettere al cervello di intromettersi in questioni che non saranno mai di sua pertinenza.
Prodotto da Diana Almeida e dallo stesso Ribeiro per la Lacuna Filmes e montato da Cristian Chinen, con l’attenta direzione fotografica di Pierre De Kerchove, Eu não quero voltar sozinho è impreziosito dalla colonna sonora di Tatà Aeroplano e Juliano Polimeno.
Perché questo corto merita di essere visto dall’inizio alla fine? Per il messaggio che contiene e che, grazie al suo autore, sta circolando in rete da almeno quattro anni: malgrado tutti i pregiudizi invalidanti, nonostante tutti i tentativi di ingabbiare l’amore in steccati mentali discriminanti ed escludenti e, a dispetto di coloro che non perdono occasione per gettare discredito sulle persone, appioppando loro etichette inconsistenti, solo l’amore dà la possibilità alle persone di evolversi e di diventare migliori, anche se per fare tutto ciò occorre un coraggio enorme, che non tutte e non tutti vogliono tirar fuori: quello di cominciare a far parlare il cuore. Troppo comodo continuare ad abitare le comode macerie delle proprie false convinzioni. Il risveglio interiore impone l’accoglienza.
Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei (don Andrea Gallo).
Lidia Borghi