Leah e l’ascolto
Gentile signora Leah,
Posso chiamarla per nome? Il nostro incontro fortuito, quel giorno, ha significato ascolto e cura, per me, un ricevere disinteressato e non giudicante da parte di una persona mai vista prima, che mi ha accolta mentre in un accesso di pianto tentavo con tutte le mie forze di fermare i conati di vomito; quando ero bambina i singhiozzi erano così forti che rischiavo di dare di stomaco e non riuscivo a parlare, a farmi le mie ragioni, a urlare “ehi! Ci sono anch’io! Qualcuno può ascoltarmi?”
Quanta quiete, nella sua casa immersa nel verde, quel giorno, quanto silenzio, rotto solo dal mio pianto senza speranza, mentre provavo a rimettere insieme i pezzi della mia vita.
Si ricorda quando le avevo parlato della mia rabbia, di quel sentimento estremo che, da bambina, riusciva a sfinirmi, a bloccarmi? Mi prendeva il panico, mi sentivo abbandonata; la mancanza di ascolto è una forma di abbandono, di tradimento.
Nonostante i ricordi di quei giorni siano sbiaditi, che la nebbia del tempo continui ad agire sulla mia mente e che io fatichi a trattenere questi pensieri dolorosi, la rabbia provata allora mi torna netta come i contorni di una silhouette, mi è rimasta incollata addosso come un mastice, che mi impedisce di fare movimenti fluidi, che mi ingloba e mi dà l’illusione di potermi liberare, perché i suoi fili sono elastici, ma tenaci e hanno la meglio sui miei arti, e allora maledico il lentisco, la cui resina serve a produrlo.
Cara Leah, ci sarà mai posto per me in questo mondo? Si può aggiustare una psiche rotta? Sono stanca di essere stanca, vorrei addormentarmi e buttare via la chiave del risveglio, vorrei prendere la rabbia e strizzarla come una spugna, azzannare la paura per vederla morire dissanguata, affrontare il disagio e allontanarlo a male parole, vorrei afferrare il buco nero in cui sono rinchiusa e gettarlo nella spazzatura, vorrei prendere a calci la depressione e mandarla affanculo.
Mi perdoni, Leah, mi sono lasciata trasportare dal dolore, è lui a condurre le danze, a guidare i miei gesti rallentati, c’è lui nella stanza dei bottoni.