Le ricerche di Oliver Sacks in merito alla privazione del linguaggio nei soggetti sordi
Nella seconda parte del saggio “Vedere voci, un viaggio nel mondo dei sordi” (1989) il neurologo inglese Oliver Sacks analizza le vicende di alcuni bimbi sordi profondi “prelinguistici”, quelli la cui sordità viene diagnosticata intorno ai dieci/venti mesi di vita.
I risultati delle sue analisi sono sorprendenti. «Se alcuni bambini sordi sono molto più bravi di altri, malgrado siano affetti da sordità più profonda, ciò indica che non può essere la sordità in sé la causa di tante disgrazie, ma piuttosto qualcuna delle conseguenze della sordità – in particolare le difficoltà e le distorsioni che compromettono fin dall’inizio la vita di comunicazione».
Il punto sta proprio qui. La “vita di comunicazione” cui fa riferimento il neurologo britannico è in grado di funzionare a prescindere dall’apprendimento di una lingua verbale, in quanto le facoltà intellettuali e linguistiche dei soggetti con sordità profonda si sono dimostrate intatte. Come a dire che, ogni qual volta ci si trova di fronte ad una bimba o ad un ragazzino con problemi di inserimento all’interno di una qualsiasi comunità (asilo, scuola, ufficio, ecc.) occorre chiedersi perché le loro capacità linguistiche non siano state sviluppate. Il pericolo corso da tutte le persone che vengono private dell’acquisizione dell’uso del linguaggio è altissimo.
Questa mancanza è così potente da minacciarne lo sviluppo intellettuale ed emotivo e ciò accade perché il linguaggio è quell’elemento che rende possibile il dispiegarsi del pensiero e questo permette di distinguere l’umanità dalla non umanità. Il linguaggio viene assimilato dal bimbo fin dalla più tenera età attraverso gli scambi verbali dei genitori e con esso anche tutte le parti costitutive della linguistica ovvero la grammatica, i verbi, la sintassi, la semantica e la morfologia. Siccome questi elementi sono presenti tutti insieme in un qualsiasi dialogo, non è tanto importante analizzare il linguaggio in sé ma l’uso che ne viene – o non viene – fatto.
Quando avviene la prima forma di comunicazione per il bimbo appena nato? Nel momento stesso in cui la madre comincia a parlare con lui. Qual è allora la differenza fra questo tipo di conoscenza e quello che avviene attraverso i cinque sensi? Essa sta nel fatto che il linguaggio non può essere appreso da soli, bensì attraverso una persona che già lo conosce e che è perciò in grado di trasmettercelo. Si tratta di una particolare forma di “interazione”, come la chiama Sacks, che tra madre e figlio viene attuata attraverso il gioco, almeno da principio.
Ecco quindi che la madre gioca un ruolo fondamentale per far sì che i suoi figli possano apprendere un’abilità che non è innata. Si tratta di un modo di imparare che, a seconda della persona che trasmette quel determinato tipo di comunicazione (genitori, insegnanti, letterati, ecc.) può raggiungere dei livelli via via più alti. Mentre assimilano le varie fasi del linguaggio, gli infanti sono in grado di percepire pure l’immagine del mondo circostante che quel livello di comunicazione incorpora in sé.
Così, nel caso della madre che, in modo ludico, conversa con la figlia in fasce, questa avrà la possibilità di incamerare, insieme a quel linguaggio, la cultura di colei che le ha dato la vita. Per fare un esempio ancor più pregnante, un bimbo cerebroleso, privato perciò della possibilità di assimilare il linguaggio attraverso le conversazioni genitoriali, non sarà in grado di distinguere fra ciò che è per lui commestibile e ciò che è nocivo per la sua salute.
I sensi di cui sopra fanno il resto ovvero mettono il neonato nella condizione di acquisire un’esperienza personale del mondo che lo circonda e che d’ora in poi potrà collegare alla forma di comunicazione cui è giunto fino ad un determinato momento. «È il linguaggio della madre, interiorizzato dal bambino, che gli consente di passare dalla “sensazione” al “senso”, di salire dal mondo percettivo al mondo concettuale», continua Sacks.
Ed è proprio da questo interscambio dei primissimi giorni di vita che hanno inizio per i neonati le interazioni fra emotività, intelletto e socialità. Siamo qui nell’àmbito di quegli stadi prelinguistici dell’apprendimento che i bambini sordi profondi non possono vivere. Ecco perché molti di loro non riescono, se non con grande fatica ed in età già avanzata, ad intessere relazioni sociali complete e gratificanti. Il linguaggio ha quindi un’importante funzione intellettuale, sociale ed affettiva in quanto pone gli individui nella condizione di esprimere i propri bisogni ed interessi.
Ecco spiegato anche perché, se qualcosa va storto, nella comunicazione, vi saranno gravi ripercussioni sulla crescita intellettiva, sugli interscambi sociali e sull’emotività individuale. «Proprio questo può accadere, e di fatto accade (…) al bambino sordo congenito», afferma Sacks, secondo il quale il passaggio da un ambiente del tutto percettivo a quello concettuale – ovvero la traduzione delle percezioni in pensieri –, per i bimbi che nascono con sordità profonda, può rappresentare uno scoglio molto duro da superare. Infatti, il bimbo sordo prelinguistico che è stato privato di questo fondamentale salto di qualità avrà seri problemi di integrazione nel mondo degli udenti.
In realtà, ciò che renderà un neonato sordo un rifiuto della società o meno è il modo particolare in cui la madre ha comunicato con lui fin dai primi giorni di vita e non importa se i canali uditivi del figlio sono lesi. A fare la differenza sono invece i diversi modi che ogni madre ha per stimolarne la curiosità con le giuste domande. Non è tanto importante, afferma il neurologo inglese, parlare ai propri bambini (come quando non si spiega loro il perché delle cose e quindi non si innescano rapporti di causalità) ma con essi (quando ci si sforza di sostenere, assecondare, spiegare i rapporti di causalità delle cose).
Tutti i figli hanno una curiosità senza limiti, anche quelli con sordità profonda e la presenza o meno di una madre che è in grado di coltivare questo spirito d’esplorazione pone chiunque nella condizione di avere uno sviluppo emotivo, intellettuale e sociale buono o deficitario. Chiunque. Anche chi è affetto da sordità. Tutto ciò, per esplicarsi, ha bisogno di una sola cosa, il dialogo. E quello tra la madre e il suo bambino è, come detto, fondamentale. Così come fondamentale diventa offrirgli continui stimoli che lo pongano in stretta relazione con il mondo esterno.
Se questo complesso gioco di conoscenza assimilata non avviene o avviene solo in parte «il bambino resterà inesorabilmente imprigionato in un mondo percettivo di oggetti materiali» afferma Sacks e non sarà in grado di distinguere un oggetto dal suo concetto mentale (per esempio una persona obesa è qualcosa di diverso dall’obesità). Questo rischio è ancor più reale in presenza di bambini o adolescenti sordi dalla nascita. E pure in questo caso i genitori sono importanti in quanto, non essendo loro possibile alcuna forma di comunicazione verbale con il proprio figlio, devono trovare alla svelta un linguaggio sostitutivo adatto all’assimilazione intellettuale del soggetto sordo. In altre parole devono dotarsi di una comunicazione creativa di tipo visivo che lo ponga nella condizione di sviluppare mente ed immaginazione ed accrescere la sua sicurezza e la sua autonomia, per farne una persona vivace, serena ed aperta al mondo che la circonda.
«Non ha importanza decisiva (…) il fatto che il dialogo tra madre e bambino avvenga in Segni o nella lingua parlata; ciò che importa è l’intento comunicativo. Questo, come tanti altri intenti, è in gran parte inconscio; può essere diretto a controllare il bambino oppure a promuoverne la crescita, l’autonomia, l’apertura mentale», conclude Sacks. L’uso di una lingua segnata a partire dai primissimi anni di vita non fa che facilitare la comunicazione e l’interscambio fra i genitori ed il bambino sordo, il quale è in grado di cogliere i segni dall’ambiente circostante in modo spontaneo, mentre l’assimilazione di un linguaggio parlato gli sarebbe impossibile.
In conclusione, l’elemento cruciale di questo tema è rappresentato dalla volontà genitoriale di scegliere una comunicazione alternativa che faccia sentire il bimbo sordo parte di un ambiente che sa accoglierlo, in cui possa sentirsi protetto e al sicuro, che ne sappia sviluppare la mente, che gli fornisca sicurezza e con essa autonomia ed una gioia di vivere e condividere che ne faranno un individuo sano ed integrato per il resto della vita.