In un precedente articolo ho parlato delle antocianine, le molecole appartenenti alla famiglia dei flavonoidi. Esse forniscono la colorazione a fiori e frutta e sono assai importanti per gli insetti bottinatori o prònubi ovvero gli impollinatori sulla cui instancabile attività si regge l’agricoltura dell’intero Pianeta.
C’è di più. Secondo le conclusioni di due studi, l’uno del “John Innes Centre” di Norwich, nel Regno Unito e l’altro portato a termine dal “New Zealand Institute for Plant & Food Research”, infatti, un particolare tipo di insetti imenotteri, il Bombo (Bombus occidentalis e Bombus terrestris), una grossa ape dal corpo ricoperto di peluria striata di nero, di giallo e di bianco e dall’inconfondibile ronzìo cupo, sembra prediligere i fiori rossi e quelli che presentano striature. L’esito della doppia ricerca, pubblicata sul numero di ottobre 2010 della rivista “New Phytologist” (http://www.newphytologist.com/view/0/index.html) è importante perché getta nuova luce sul modo in cui questi insetti svolgono la loro attività di impollinazione dei fiori noti come Bocche di leone (Antirrhinum majus, appartenente alle Scrophulariaceae). Per giungere alle conclusioni contenute nei due studi, il gruppo di ricercatrici e di ricercatori (Yongjin Shang, Julien Venail, Steve Mackay, Paul C. Bailey, Kathy E. Schwinn, Paula E. Jameson e Kevin M. Davies, guidati dalla biologa Cathie R. Martin) ha analizzato per alcuni anni una comunità di bombi, al fine di scoprirne il modo in cui si nutrono del nettare estratto dai suddetti fiori. Ebbene, si è scoperto che le Bocche di leone di colore rosso, con o senza striature, sono quelle che hanno ricevuto il numero più alto di suzioni da parte degli insetti analizzati, a scapito di quelle bianche o di altro colore. Ciò proverebbe quanto già accennato nel mio articolo precedente ovvero che la colorazione fornita a questo tipo di fiori dalle corrispondenti antocianine fungerebbe, per gli imenotteri, da luce guida. Si tratterebbe di una sorta di rudimentale pista di atterraggio, quindi di un apposito segnale messo lì dalla natura per indurre i bombi – nella fattispecie – a srotolare ed introdurre la lunga ligula di cui sono dotati all’interno del condotto del fiore che contiene il succulento nettare. Così facendo, gli imenotteri impellicciati, al loro passaggio, traggono dai pistilli il polline, che resta intrappolato al pelo, dopo di che lo raccolgono nelle corbiculae, le piccole sacche che si trovano ai lati delle zampe. Un particolare importante riguarda il fatto che i bombi riescono a fare discreti bottini di nettare e polline anche con scarsa illuminazione ed a temperature alquanto basse, intorno gli otto/dieci gradi centigradi.
Lo studio è andato oltre l’analisi etologica ed ha accertato anche il modo in cui le striature vengono a formarsi sui petali. Esistono due “segnali biochimici” – come ha affermato la biologa Kathy E. Schwinn – uno dei quali trae la sua origine dal sistema nervoso dei petali e l’altro dall’epidermide del fiore. Quando essi vengono in contatto l’uno con l’altro, si mette in atto la reazione chimica che porta alla sintesi delle antocianine con PH pari a 1, quello che fornisce al fiore il pigmento di colore rosso.
All’inizio del 2008 alcuni quotidiani italiani diffusero la notizia riguardante la grave morìa delle api nel nostro Paese. La Repubblica on – line parlò addirittura del dimezzamento della loro popolazione nel giro di un solo anno http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/ambiente/api-scompaiono/api-scompaiono/api-scompaiono.html?ref=search) riferendosi ad un fenomeno di portata mondiale che stava mettendo in seria crisi l’intero apparato dell’impollinazione e, con esso, l’agricoltura del pianeta, a causa di diversi fattori, non ultimo l’uso smodato dei pesticidi sulle colture.
Al fine di porre un freno a tutto ciò, la Confederazione italiana degli agricoltori (CIA) propose, all’epoca, di diffondere il più possibile nei campi proprio il bombo, grazie alle sue caratteristiche di eccellente impollinatore, anche in condizioni atmosferiche sfavorevoli, come si è detto. In quel periodo le colture fruttifere a maggiore rischio produttivo erano quelle di meloni, angurie, ciliegie e pesche, nonché quelle di ortaggi come melanzane e peperoni ed oggi l’agricoltura possiede un’arma in più per incrementare la presenza di questo laborioso insetto nei campi di tutto il mondo, proprio grazie alle conclusioni cui sono giunti i due studi di cui ho parlato.
Una volta Albert Einstein disse che, qualora sulla Terra si dovessero estinguere gli insetti impollinatori, agli esseri umani resterebbero non più di quattro anni di vita, dato che l’agricoltura si fermerebbe e non sarebbe più possibile sfamare l’umanità.
È necessario un grande senso di responsabilità per fare il salto di qualità necessario a mutare le basi dell’economia mondiale che, così com’è, sta nuocendo – e non poco – a tutti gli esseri viventi. Studi come quelli citati in questo articolo ci danno la possibilità di iniziare a cambiare rotta, ma occorre farlo sul serio. E subito.