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L’amore anestetizzato

Come Diritto, Parlamento e Tradizione cattolica pretendono di incasellare i sentimenti

di Lidia Borghi


«E già… Il diritto ad amare… Mi chiedo come si possa riconoscere il diritto ad amare… La trovo una cosa impensabile… Chi può mettersi su un piedistallo e dire “io amo meglio, io sono più bravo come genitore e la mia famiglia è la più bella?” Già una persona del genere a me darebbe evidenti segni di squilibrio…» (Lidia Borghi, L’amore autentico, Gabrielli editore, Verona, 2014)



Con queste parole, tratte da un’intervista del 2011, una delle più grandi attiviste italiane per i diritti LGBTQ+, Mila Banchi, si espresse in merito al cosiddetto diritto ad amare.

Da allora alcuni anni sono trascorsi ma, come dimostrano le parole del professor Stefano Rodotà, autore del libro Diritto d’amore(Laterza, 2015) duole constatare quanto male l’Italia sia messa a proposito del tentativo di ingabbiare i sentimenti delle persone in un corpusdi leggi che ne vorrebbe mitigare gli effetti, pur di vederlo contrattualizzato – attraverso l’istituto del matrimonio – ed inserito in un contesto sociale immutabile:


«Un contratto di diritto pubblico, sorvegliato dallo Stato, basato sulla stabilità sociale, la procreazione, l’educazione dei figli e portatore di una morale ritenuta prevalente, quella cattolica. Obbedienza e subordinazione per le donne, logica autoritaria e patrimonialistica, un blocco compatto nel quale l’amore riusciva con fatica ad aprire qualche breccia.»


È quindi giusto oggi affermare che il sentimento amoroso possa essere riconosciuto per legge? Che dire poi del fatto che esiste una cultura dell’amore – su cui si basa per esempio la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – alla quale il Diritto dovrebbe richiamarsi, pur di eliminare ogni ostacolo al pieno dispiegarsi della libertà individuale?

Recita la seconda parte dell’articolo 3 della nostra Costituzione:


«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»


Ho estrapolato dal testo, che è di una chiarezza adamantina, alcune parole chiave: “rimuovere” – “ostacoli” – “limitando” – “impediscono” – “sviluppo” – “sociale”; ecco, il libro di Rodotà indica una via per spiegare come il Diritto abbia abusato del suo potere per “neutralizzare” l’amore con l’intento di mantenere integro l’ordine sociale. Come se il sentimento più irrazionale potesse essere irregimentato e come se esistessero delle regole di cui il Diritto si serve, pur di imporci in che modo e di chi innamorarci.

«Ma come– mi son chiesta – non è compito di poete e poeti indicarci come le emozioni siano qualcosa di talmente alto ed imprevedibile che solo con determinate parole è possibile riferirsi ad esse? Che ne è dell’irrazionalità insita nei sentimenti e del detto che recita “al cuore non si comanda?” e, ancora: è possibile che il Diritto possa trasformarsi in un mezzo efficace di diffusione dell’amore, nel momento in cui decidesse di abbandonare per strada i suoi oscuri tecnicismi, pur di ammettere di non avere il potere di ficcare il naso in faccende quali la “contingenza”, la “variabilità” e l’”irrazionalità”, in una parola le pulsioni?»

Inutile farsi illusioni: l’amore fa paura, soprattutto a chi pretende di scriverne le regole, anchecon scopi ideologici, come ha preteso di fare persino la Politica parlamentare, che al Diritto si è affidata per indicare al perfetto cittadino e alla madre delle sue creature che sì, va bene il sentimento, purché sia moderato – affinché la morale pubblica non abbia a soffrirne – e sempre misurabile, controllabile, sondabile, statisticamente in regola con le non-scritte-norme-vigenti che vedono nel matrimonio eterosessuale la cellula pulsante della società nonché la garante dell’ordine sociale: “Nei tempi e nei luoghi più diversi l’alleanza tra politica e diritto ha potentemente contribuito a creare condizioni propizie a costumi e abitudini che respingevano l’amore e la sua pienezza.

I danni prodotti da un’impostazione sociale del genere sono sotto gli occhi di tutte e di tutti con le complesse variabili che, ai giorni nostri, vedono nella prostituzione, nel lavoro minorile, nel turismo sessuale, nel delitto di lesa donnitàattraverso il femminicidio, nella finta uguaglianza tra uomo e donna, nel maschilismo patriarcale, nei reati di omo-transfobia e nella mancata estensione del diritto al matrimonio alle coppie formate da persone dello stesso sesso solo gli effetti più macroscopici:


«Nell’esperienza storica, il diritto si è fortemente impadronito dell’amore(…) Nella modernità occidentale soprattutto, lo ha chiuso in un perimetro, l’unico all’interno del quale poteva e doveva essere considerato giuridicamente legittimo: il rapporto coniugale formalizzato, il matrimonio, tanto che si è giunti a scrivere che “non si dà ‘libertà sessuale’ fuori, e perciò anche prima, del rito-matrimonio”. In questo perimetro veniva poi operata una seconda riduzione, costruendo i rapporti tra i coniugi secondo categorie tipiche del diritto patrimoniale. La proprietà: ciascun coniuge ha un diritto sul corpo dell’altro, dunque sulla sua persona, in una visione estrema sulla sua stessa vita.»


Per dar vita a “costruzioni culturali maschiliste” come quelle indicateci da Rodotà, il Diritto ha cominciato a modellare la società italiana molto tempo fa a cominciare dalla struttura gerarchica della famiglia, il cui capo è il marito: a lui solo spettava infatti il diritto nel Diritto di denunciare per adulterio la moglie, restando impunito qualora fosse stato lui il fedifrago di casa.


In questo caso Stefano Rodotà ha parlato in modo efficace di “una robusta, talora inviolabile, barriera tra amore e vita“ per spiegare come la stessa Assemblea Costituente avesse durato fatica a digerire la faccenda del futuro articolo 29 della Costituzione repubblicana, in merito all’”uguaglianza morale e giuridica dei coniugi”. Fu proprio il Dettato costituzionale, infatti, a scardinare la predominanza del Diritto e la conseguente tradizione sociale e fu soprattutto grazie alle donne presenti in quella storica assemblea, se esso cominciò ad essere modificato. Il resto lo fecero le donne italiane, nei decenni seguenti, in quanto singole o in quanto rappresentanti dei collettivi femministi.

Morale, religione, matrimonio e famiglia, dunque ovvero Diritto e Chiesa Cattolica da un lato e, dall’altro, istinto, sentimenti, affetti, pulsioni – in una parola l’amore – che, lungi dall’essere imbrigliabili, conformabili, incasellabili, etichettabili necessitano, per potersi dispiegare, di quella libertà incoscienza che nessuna tradizione, nessuna legge, nessuna religione può regolamentare, proprio in virtù della loro intima struttura. Ciò comporta come, in questo ed in tutti i casi analoghi, il Diritto debba mettersi da parte, non prima di aver esteso l’accesso al matrimonio proprio a tutte le persone che lo vogliano; si tratta di un’esigenza d’inclusione che ha a che fare con l’uguaglianza, il rispetto e il diritto alla normalità nel senso letterale del termine. Si tratta, infine, di diritti umani ovvero della capacità di considerare il prossimo come nostro pari: uguaglianza in umanità.

L’amore è quell’esperienza totalizzante che, quando ci si riferisce ai diritti umani, come il Cristo diventa pietra d’inciampo, roccia di scandalo, sasso d’intoppo ovvero pietra angolare(1 Pietro 2: 7-9) del vivere civile; come il blocco centrale di un arco a tutto sesto rappresenta la chiave di volta per i cunei laterali, garantendo lo scarico delle forze, così l’amore è la sola cura possibile per la chiusura mentale, la disonestà intellettuale e l’ingiustizia sociale. Il problema consiste nel fatto che poche persone sono davvero intenzionate a convertirsi all’amore. 

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