di Lidia Borghi
Era il 22 dicembre 2015 quando, dalle pagine de La Repubblicadi Milano, Alessandra Corìca dedicava un articolo alla possibile nascita di un “call center anti gender” in Lombardia; un emendamento al bilancio 2016/2018 da proporre in Consiglio regionale aveva infatti chiesto lo stanziamento per quest’anno di cinquantamila euro, al fine di creare un apparato che dia la possibilità al personale scolastico di “segnalare episodi contrari ai valori della famiglia, con particolare attenzione alla tutela dei minori”.
Destinatario della cifra l’Assessorato alle Culture, identità e autonomie, gestito da Cristina Cappellini. Scopo dell’iniziativa il contrasto alla teoria gender nelle scuole della Lombardia, come già emerso il 17 ottobre scorso alla manifestazione milanese in difesa della famiglia e, in seguito, nell’àmbito del convegno Nutrire la famiglia per nutrire il pianeta, un incontro che si svolse a porte chiuse con lo scopo di escludere giornaliste e giornalisti, che avrebbero di sicuro rilevato il clima omofobico dell’evento, durante il quale il governatore della Lombardia Roberto Maroni aveva tenuto un discorso ideologico che si rifaceva a quanto già affermato il 17 gennaio 2015 all’interno del seminario Difendere la famiglia per difendere la comunità, alla presenza di Mauro Inzoli, l’ex prete cattolico denunciato per pedofilia e ritiratosi a vita privata.
Ci risiamo: la sciagurata frase “teoria gender”, pronunciata da papa Ratzinger il 21 dicembre 2012 durante gli auguri alla Curia di Roma, cominciò a scorrere come un fiume carsico nelle menti di chi aderisce al fondamentalismo cattolico e, da noioso ronzio in sottofondo, a furia di esser divulgata si è col tempo trasformata in un’ideologia, cavalcata da coloro che – in nome della famiglia naturale fondata sul matrimonio tra maschio e femmina– vedono l’estensione dei diritti e dei doveri della cittadinanza eterosessuale alle coppie formate da persone dello stesso sesso come una minaccia concreta alla stabilità sociale; né l’istituzione del pericoloso “numero verde anti gender” fa eccezione rispetto ad uno stato di cose che perdura da quattro anni e che si sta acuendo a partire dalle scuole fino a dilagare nel travagliato dibattito parlamentare del nostro Paese.
La posta in gioco è alta e vede contrapposti, da un lato il fondamentalismo religioso di matrice cattolica con i suoi continui attacchi omofobici alle persone omosessuali e, dall’altro le persone lesbiche e gay che, a proposito di tutela dei minori, nel caso di famiglie omogenitoriali permangono in uno stato di invisibilità e di mancanza di leggi specifiche che proteggano le loro figlie ed i loro figli.
E che dire infine delle cosiddette teorie riparative? A proposito di fastidiosi ronzii in sottofondo, questo ha un’importanza che coinvolge l’umanità nel suo complesso di coloro che faticano ad accettare il loro orientamento affettivo e sessuale e, se si rivolgono a personale qualificato in cerca d’aiuto, rischiano di incappare in organizzazioni omofobiche che, con la scusa di offrire un accompagnamento spirituale e di preghiera, finiscono per somministrare a quei malcapitati vere e proprie torture psicofisiche che la scienza ha da tempo smascherato e definito dannose; un esempio è rappresentato dall’“Obiettivo-Chaire” (http://www.obiettivo-chaire.it/home.asp) che aveva organizzato il convegno del 17 gennaio 2015, di cui ho parlato poco sopra.
Il mondo LGBTQ+ italiano si augurava di poter cominciare il 2016 almeno con la legge sulle unioni civili fra persone dello stesso sesso approvata dai due rami del Parlamento, ma nulla è accaduto e l’Italia si è da poco meritata in Europa la maglia nera in tema di leggi a tutela delle persone lesbiche e gay; è infatti di pochi giorni fa la notizia dell’approvazione anche in Grecia di quella stessa legge che la deputata Monica Cirinnà sta provando a far passare qui da noi.