La gente crede in quello che vede-Il film Victor Victoria secondo me
Carroll Todd e Victoria Grant sono due artisti spiantati che si conoscono in modo alquanto rocambolesco a Parigi; lei è un soprano leggero di talento ridotta alla fame, alla disperata ricerca di una scrittura, lui un attore gay di cabaret che ha appena perso l’ingaggio.
Victoria ha una voce che copre quattro ottave che le permette di rompere un bicchiere con un Mi naturale, Carroll ne intuisce il talento e inventa per lei il personaggio del conte polacco Victor Grezhinski, famoso in patria per essere un grande artista gay; Victoria dovrà spacciarsi per un uomo che si finge donna, la cosa funziona e poco dopo viene scritturata in un noto locale notturno di Parigi.
Come disse anni fa in un’intervista Julie Andrews, la protagonista, “Victoria è talmente calata nella parte, che si sforza di far credere al pubblico che si esibisce come una donna mentre è un uomo.”
Tutto va a gonfie vele, ma proprio quando Carroll e Victoria stanno diventando ricchi e famosi e i giorni della fame sono un ricordo lontano, lei si innamora di King Marchand, un losco affarista che intrattiene rapporti con la malavita di Chicago e si trova di fronte a un bivio: amore o successo?
Il regista Blake Edwards ha usato il tema del travestitismo per mettere in discussione la rigidità dei ruoli di genere e per buona parte del film lascia in sospeso la risposta alla domanda: qual è la vera identità della protagonista?
Il boss non si capacita di essersi innamorato di un uomo; per lui, che è un maschio dall’indiscussa prestanza sessuale, l’omosessualità è il male, invece Victoria non ha problemi a vestire i panni di un uomo pur appartenendo al genere opposto ed è proprio a causa di questo apparente controsenso che non si riesce a ravvisare il confine tra la realtà e la finzione.
In “Victor Victoria” il regista sfotte gli stereotipi sull’omosessualità, il genere, l’identità di genere e l’ipocrisia che gira loro intorno attraverso dialoghi a effetto e gag dalla comicità dissacrante e invita a superare le etichette e gli stereotipi legati al genere anche per rimarcare l’importanza dell’autenticità e del coraggio di essere ciò che si è al di là delle maschere, ma anche grazie a esse, se il travestitismo può servire a rafforzare l’identità di genere.
Il travestitismo di Edwards non gioca sull’ambiguità sessuale, anzi, serve a smantellare il muro del pregiudizio attraverso la commedia brillante. Il cinema di Hollywood ha diversi esempi di questo tipo, come il film “A qualcuno piace caldo”, in cui due musicisti si travestono da donna per sfuggire a un gangster che li vuole morti e ne combinano di tutti i colori; uno dei due subisce le avance di un vecchio miliardario il quale, saputo che l’oggetto delle sue profferte è un uomo, alla fine del film pronuncia la famosa frase “nessuno è perfetto.”
Il travestitismo fu ampiamente sfruttato nella storia dell’Occidente e trae le sue origini dal fatto che alle donne era proibito recitare, perciò i loro ruoli erano affidati ad attori adulti o a ragazzini, spesso figli d’arte.
Il regista è riuscito a rendere un altro contrasto senza scadere nel ridicolo, quello fra l’essere e l’apparire: “La gente crede in quello che vede.” dice Carroll a Victoria per convincerla a vestire i panni del conte, infatti nessuno si accorgerà della mistificazione.
Il fenomeno delle Drag Queen e dei Drag King è un esempio di travestitismo che sovverte le rigide regole della società sul binarismo di genere: Victoria non vuole smettere i panni del conte Victor perché in quanto maschio ha un ampio margine di manovra e se ha raggiunto il successo è stato perché veste come un uomo nella società maschilista degli anni ’30, che le donne le voleva seminude e ammiccanti nei locali notturni.
Non a caso Blake Edwards è considerato uno dei maestri della commedia brillante, perché ha saputo trattare temi seri e a volte drammatici con leggerezza e rispetto. “Victor Victoria” è uscito nelle sale cinematografiche nel 1982, quando l’AIDS stava mietendo morti a un ritmo impressionante.