La figura dell’assistente sessuale. Falsi miti e pregiudizi smentiti dalla scrittrice Giorgia Würth nel libro L’accarezzatrice
In Italia la figura dell’assistente sessuale alle persone disabili esiste, ma non è riconosciuta. Come ne sei venuta a conoscenza?
Una quindicina di anni fa mi trovavo in Svizzera, paese che come molti del nord Europa ha regolamentato l’attività dell’assistente sessuale alle persone disabili; mentre ero lì avevo letto un’intervista fatta a un uomo che svolge questa professione e sono rimasta abbastanza scioccata;
da lì sono iniziate le mie ricerche approfondite, svolte quasi tutte all’estero, poiché allora in Italia questa occupazione era ancora un tabù.
Di recente se n’è parlato parecchio, soprattutto in televisione e piano piano le cose sono migliorate, anche grazie all’uscita del mio libro, L’accarezzatrice; pensa che abbiamo depositato una proposta di legge che è ancora ferma in Senato, perché la disabilità non è certo un tema prioritario, in questo paese; inoltre il problema sostanziale da noi è che non si saprebbe in quale ambito collocarla, quindi è complicato legiferare in questo senso.
Poi si sono venuti a creare dei gruppi autonomi, il più importante dei quali è quello di Max Ulivieri, il paladino dell’assistenza sessuale alle persone disabili (https://www.lovegiver.it/); ecco, da tutte queste ricerche è venuto fuori il libro, che ho scritto sotto forma di romanzo, anche se il contesto è reale. L’accarezzatriceè stato anche un testo universitario: sono stata contattata da medici e psicologi che volevano dei pareri su come strutturare i loro corsi.
Perché il titolo “L’accarezzatrice”?
Il titolo rappresenta un modo anche poetico di definire il lavoro dell’assistente sessuale: la carezza dà un’idea un po’ più precisa di quel che avviene durante gli incontri con le persone disabili, descrive il calore che si dona alle persone che non possono usare il loro corpo anche per provare piacere; il resto è questione di competenza, perché per diventare assistente sessuale si studia, si tratta di una professione a tutti gli effetti.
Poi ci sono prostitute o ex prostitute che decidono di diventare assistenti sessuali perché manifestano una certa sensibilità verso determinati corpi, ma per la maggior parte le/gli assistenti sessuali provengono dall’ambiente della fisioterapia e da professioni affini, perché sono già abituate/i al contatto con il corpo.
Come dice Michela, la migliore amica della protagonista: “A differenza della prostituta, l’assistente sessuale mette al centro dell’attenzione la persona nel suo insieme, e ha come obiettivo il benessere di chi è affetto da disabilità fisica o psichica, e non è in grado di provvedere da solo alle proprie esigenze corporali.”
Parlami di Gioia, la protagonista.
Gioia è in un momento devastante della sua vita: perde tutto, lavoro, fidanzato, ha il padre malato in una struttura a pagamento, è senza soldi e deve assolutamente trovare un’altra occupazione.
Un giorno per caso legge un annuncio in cui le sembra che si cerchi un’infermiera e, quando si reca all’appuntamento, ad aprirle è una donna sulla sedia a rotelle, il cui marito è a sua volta disabile, che le dice di aver bisogno di una donna che interagisca a livello fisico con lui, perché lei non è più in grado di appagarlo.
Scandalizzata, Gioia scappa via e pensa: “Non sono una prostituta, ma un’infermiera. […] Donatrice o prostituta non cambia niente. Mi domando se cercare una donna per dare piacere sessuale al proprio uomo sia una perversione o il più estremo degli atti d’amore.”; poi la vita la rimette in contatto con questo mondo, che diventerà a poco a poco la sua missione.
Gioia ha una mentore, Christine, che mi dici di lei?
Il personaggio di Christine è ispirato a una persona vera che ho conosciuto, una donna meravigliosa: sono andata a trovarla a Losanna e abbiamo passato la giornata insieme; è stata molto disponibile con me, mi ha raccontato tutto, come passa le giornate, dove lavora.
Ho messo molto di lei in Christine; nel libro questa dice alla protagonista: “Vedi, Gioia, il corpo di un uomo è come un pianoforte. Ha dei tasti e, a seconda di quale premi, provochi una reazione, produci una nota. Suonare un corpo sano è bello […] Ma vuoi mettere la soddisfazione e la felicità che può darti far vibrare di musica un corpo rotto?Ecco perché ho deciso di diventare assistente sessuale. […] C’è un senso per tutto, bisogna trovarlo.”
Perché si parla poco dell’assistenza sessuale alle donne?
Perché la sessualità femminile è difficile da tirar fuori, figuriamoci nel caso di una donna disabile: c’è vergogna, c’è pudore, si preferisce non parlarne, per cui le richieste sono molto minori, anche perché si pensa che una donna possa fare a meno del sesso.
In questi casi intervengono gli assistenti sessuali come quello dell’intervista che avevo letto in Svizzera: lui ama una donna disabile e lavora sia con le donne che con i gay, anche se da questi ultimi arrivano meno richieste.
Fra le persone disabili incontrate dall’ex infermiera c’è un ragazzo omosessuale che rifiuta le sue cure, ma le apre gli occhi sull’”omodisabilità”. Me ne parli?
Sì, nel libro descrivo Fabio, un ragazzo tetraplegico e il suo premuroso padre, Bruno, che contatta Gioia perché crede di poter alleviare lo stato di prostrazione mentale del figlio.
Le prostitute contattate da Bruno non sanno come gestire il corpo di una persona paralizzata, non sanno “che fare con quello che a loro sembra solo un giocattolo rotto in modo irreparabile.” Poi la rivelazione: Fabio è gay. Di lui la voce narrante di Gioia racconta: “Ha scoperto di essere gay poco più che bambino […] ha avuto parecchie avventure con uomini, anche più grandi di lui. Si è innamorato solo una volta però, di Silvano.” Era l’uomo della sua vita, lo avrebbe seguito in capo al mondo, ma, dopo l’incidente, si libera “del peso morto” e scompare. “Si chiama ‘omodisabilità.’” dice Fabio, “Gioia, lo sai che a discriminare i disabili gay sono soprattutto i gay normodotati? Divertente, no?”
In un altro passo del libro le confessa: “Non posso muovere le gambe né le mani. Ma lui funziona! […] ha una vita propria, è un anarchico. […] E l’unico modo per arrivare all’orgasmo è un coinvolgimento mentale. Ecco, a causa della mia paralisi ho scoperto il sesso mentale. Che, col partner giusto, sarebbe una figata… col partner giusto, però…”
Spesso quando si parla di disabilità si tende a generalizzare e a immaginare un corpo rotto come tanti altri corpi rotti e invece?
In effetti esistono diverse disabilità, sia mentali che fisiche: nel caso di individui con una menomazione fisica che non riescono a entrare in contatto con il proprio corpo l’assistente sessuale è fondamentale, quando invece la disabilità è mentale, la persona non sa come farlo e ha bisogno di una guida che l’aiuti; il ruolo dell’assistente sessuale è delicato anche nei casi di disturbi dello spettro autistico.
Nel libro ho cercato di raccontare storie diverse l’una dall’altra, perché ogni caso è a sé.
Infine c’è Martin, bello e maledetto, irascibile, indocile; fa paura, ma allo stesso tempo affascina. Come lo descrivi?
Martin è un personaggio del tutto inventato: è sulla sedia a rotelle a causa di un incidente in moto, la vita è stata dura con lui; l’ho descritto come un uomo bello, ma ingestibile perché scontroso e rabbioso; insomma ha un carattere impossibile, solo che a poco a poco, dopo aver respinto Gioia più volte, grazie alla tenacia di quest’ultima riesce a lasciarsi andare, pur rifiutando le sue carezze intime.
Sarà grazie a lei che Martin metterà su una scuola di ballo per persone sulla sedia a rotelle. Il loro innamoramento è graduale tra un colpo di testa e l’altro dell’uomo, che verso la fine del libro le dice: “[…] per la prima volta dopo l’incidente, mi sento vivo. Mi batte il cuore. Mi sveglio e tu sei il mio primo e unico pensiero. Tu regali un senso alla mia giornata. Mi sono innamorato della tua anima Gioia […] del tuo corpo, della tua fragilità, della tua forza. […] Tu sei bella anche se non ridi.”
“Una carrozzina ce l’abbiamo tutti, solo che in alcuni si vede e in altri no.”
Giorgia Würth