Il prezzo del sogno di Margherita Giacobino. La mia intervista all’autrice
di Lidia Borghi
Vorrei che tu ti presentassi alle persone abbonate a Tempi di fraternità: chi è e di che cosa si occupa Margherita Giacobino?
Sono nata in provincia di Torino un bel po’ di anni fa, vivo a Torino, ho fatto studi classici e diversi mestieri e da venticinque anni scrivo e traduco libri. Sono femminista e mi sono occupata di scrittura delle donne e di letteratura lesbica, ho curato una collana di traduzioni per la casa editrice Il dito e la Luna(ultimo importante lavoro: Sorella Outsider, gli scritti politici di Audre Lorde, 2014) e collaboro con la rivista acetilsatiricaonline Aspirina. Il mio penultimo romanzo è dedicato alla storia della mia famiglia e si chiama Ritratto di famiglia con bambina grassa(2015).
Pochi mesi fa è uscito, per i tipi Mondadori, Il prezzo del sogno, il tuo tributo alla scrittrice statunitense Patricia Highsmith. Quanto tempo è durata la gestazione del testo?
Anni. Ho lavorato sui documenti privati di Highsmith – che è stata una grande autrice di thriller, ma non solo – ho scritto un saggio sulla sua scrittura che è rimasto inedito e alla fine ho deciso che il modo giusto per parlare di una donna così complessa e interessante fosse un romanzo. Il romanzo della sua vita.
Nella nota posta alla fine del libro hai affermato che la tua non è una biografia. In che senso?
Una biografia si pone sempre un obiettivo di accuratezza, completezza e “obiettività” (ho messo la parola tra virgolette perché rappresenta un concetto che mi appare sempre relativo e, in definitiva, un ossimoro). Io invece mi sono riproposta di raccontare Highsmith così come la vedo io, mettendo in evidenza quello che di lei mi ha maggiormente ispirata, i tratti più sorprendenti e attuali: la sua fedeltà a se stessa, la sua visione del mondo, lucida ed eretica, il suo rapporto con la scrittura, che per lei era mestiere e terapia, dialogo con se stessa e superamento dell’io, sguardo sull’esterno e verità interiore. Insomma volevo fare di lei un ritratto, come i pittori, che raffigurano sia il soggetto, colto in un certo momento, con certe condizioni di luce, ecc., sia la mano dell’artista stesso e soprattutto la sua visione.
Per scrivere Il prezzo del sogno hai consultato i diari personali e i taccuini di Highsmith custoditi presso lo Schweizerische Literaturarchiv di Berna. Che sensazioni hai avuto nel leggere le parole scritte da Patricia?
Tenere in mano il diario di un’altra persona che non c’è più, decifrare le sue più intime annotazioni, scoprire i suoi segreti e i suoi sogni, le sue gioie e angosce, ti mette in una situazione molto particolare: certe sere, uscendo dalla biblioteca, mi sentivo come sdoppiata, ero io ed ero anche lei e lei era ancora più presente di me nei miei pensieri. È un po’ come essere una casa infestata dai fantasmi: io dentro la sua testa e lei dentro la mia; un modo assolutamente unico di conoscere l’Altro. Per scrivere di qualcuno bisogna volergli bene, per leggere i diari di qualcuno bisogna sentirsene responsabili, saper custodire quello che ci è affidato.
Quanto ti è stata utile la tua professione di traduttrice, per cogliere i tanti stati d’animo di una donna alla perenne ricerca di se stessa?
La consuetudine alla traduzione aiuta moltissimo a entrare dentro un testo e a trovare il modo più attento e profondo di leggere, direi quasi di seguire il processo in base al quale il pensiero si incarna in scrittura e ciò richiede di mettersi nei panni, anzi, nella penna di qualcun altro. Tradurre, quando si ha la fortuna di farlo con un testo che piace, è un’esperienza quasi altrettanto euforizzante che scrivere in proprio. Tradurre è anche il modo migliore di valutare la qualità della scrittura: scritture ridondanti, imprecise, confuse, sono difficilissime da trasportare nella propria lingua mentre, se chi scrive sa che cosa vuol dire e lo dice in modo diretto ed esatto, chi traduce lavora con gioia e affronta con piacere anche le inevitabili difficoltà. Quando ho tradotto Audre Lorde mi sono resa conto che, sebbene formalmente si trattasse di prosa, avevo a che fare con poesia, perché le parole erano limpide e precise e cariche di senso. La poesia è difficile da rendere in un’altra lingua, perché si ha a che fare con la molteplicità semantica e le infinite sfumature di tono; la prosa di Lorde aveva la chiarezza folgorante della poesia, ma allo stesso tempo la linearità della prosa, una sintesi magnifica. Con Highsmith, di cui ho tradotto brani degli scritti privati, la cosa più difficile è stata decifrare la sua grafia, non tradurla (lei si fa un punto d’onore di essere sempre chiarissima – e lo è – tanto da affermare di se stessa che ‘non ha stile’).
Dal tuo libro emergono prepotenti il tormento esistenziale di Pat, la sua costante tensione verso un amore idealizzato che si infrange, ogni volta, contro la dura realtà della vita e il rapporto controverso con la madre. Che altro?
Come ho detto, la sua visione del mondo. Highsmith riflette costantemente su temi come la giustizia, il confronto tra individuo e società, i rapporti di potere tra gli esseri umani, le convenzioni sociali come contrapposte alla verità profonda dell’individuo, la condizione dell’omosessuale, che lei paragona a quella dello straniero e dell’artista, ecc. È una donna che pensa, sempre, che punta lo sguardo non soltanto dentro, sui misteri della psiche, ma anche fuori, sulla società in cui vive, in modo non accademico, anzi personalissimo e c’è il suo sense of humor, impietoso e liberatorio; quindi la sua fragilità e l’insicurezza nel rapportarsi con le persone, oltre al suo costante senso di fallimento (nonostante fosse una scrittrice di successo) al suo coraggio, alla sua tenacia (ci vuole molta tenacia per fare questo mestiere e molto coraggio, in questo sono totalmente d’accordo con lei). Infine la sua umiltà: lei non si riteneva un’artista con la A maiuscola, ma un’artigiana della scrittura; in questo è molto femminile e direi anche molto filosofa, conscia della continua imperfezione del fare.
Leggendo il testo si avverte la costante presenza di un elemento che, lungi dal rimanere in sottofondo, finisce per diventare la vera protagonista della vicenda: la scrittura. Puoi chiarire questo punto?
Highsmith è una scrittrice totale: non scrive solo per mestiere, ma per se stessa; la scrittura per lei è specchio, dialogo interiore, memoria e lavoro continuo. L’osservazione di sé nei suoi diari diventa materiale di pensiero e di scrittura, in un processo molto affascinante in cui gli eventi privati, i sentimenti, le esperienze e le persone che incontra diventano materiale primario della scrittura pubblica, attraverso trasformazioni complesse. Highsmith non è mai autobiografica nei suoi libri, ma tutto quello che scrive proviene dal suo laboratorio interiore, in cui lei osserva e si osserva con eccezionale onestà. Lei ha scritto che la scrittura è una droga che dà assuefazione, perché permette di uscire dal sé.
Quali sono i tuoi progetti, in corso e futuri?
Continuare sui due filoni che mi interessano, la scrittura mia e quella delle altre autrici. Vorrei continuare a curare testi che mi piacciono e che mi sembrano fondamentali per arricchire il pensiero e il simbolico delle donne e quindi di tutti e ovviamente anche scrivere in proprio. Sto lavorando a un romanzo che piacerà solo a me, visti i temi (la vecchiaia e la morte) e poi ad altri soggetti di cui, per scaramanzia, preferisco non parlare.