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Il fluido magico di Salafia

Alfredo Salafia nacque a Palermo nel 1869. Figlio del garibaldino Filippo Salafia, ideò un sistema di imbalsamazione basato su un miscuglio di sostanze chimiche atte a bloccare la decomposizione. Passato alla storia come il più grande imbalsamatore del Novecento, riuscì a restaurare il corpo di Francesco Crispi ed a mantenere intatto, fino ai giorni nostri, il cadaverino della piccola Rosalia Lombardo, deceduta poco prima di compiere i due anni di età a seguito di una malattia fulminante.

Il ricercatore Dario Piombino-Mascali, messinese, trapiantato a Bolzano per poter lavorare nella sezione dell’Istituto EURAC riservata allo studio delle mummie e dell’Uomo dei ghiacci, ha dedicato a Salafia un saggio uscito di recente per i tipi di La Zisa (Dario Piombino-Mascali, “Il maestro del sonno eterno”, La Zisa Editore) in cui svela al mondo il segreto che si celava all’interno del fluido magico utilizzato da Salafia.

Attraverso un’indagine minuziosa delle fonti, che ha portato Piombino – Mascali fino in Sicilia per conoscere gli eredi di Salafia, siamo oggi in grado di conoscere il miscuglio chimico che contribuì a migliorare l’aspetto finale del corpo di Crispi.

A differenza dei metodi precedenti, quello utilizzato dall’illustre palermitano non prevedeva l’uso di sostanze chimiche – come l’arsenico – nocive per gli esseri umani, ma una serie di preparati che, oltre a bloccare i segni della decomposizione, rendevano belli i corpi ai quali venivano iniettati.

Salafia, infatti, si limitava a fare un’iniezione “intravascolare”, come la definisce Piombino-Mascali, al cui interno erano presenti formaldeide, un potente battericida, sali di zinco, che causano la pietrificazione dei cadaveri, organi interni compresi, alcool, che ne accelera l’essiccamento, acido salicilico – che impedisce il formarsi dei funghi – e glicerina, che compensa l’azione dell’alcool e mantiene i corpi elastici, anche se a fare la differenza fu, rispetto al passato, la paraffina disciolta nell’etere, che veniva iniettata al di sotto della pelle del viso, al fine di rendere quest’ultimo elastico e gonfio. Ed ecco rivelato il segreto del fluido che donò un aspetto “gentile” alla piccola Rosalia Lombardo, la cui teca funebre è conservata nella cripta della chiesa dei Cappuccini di Palermo.

Consuetudine gentile. Nuovo metodo per la conservazione del cadavere nella sua integrità in uno stato di permanente freschezza” è il titolo del manoscritto di Alfredo Salafia che Piombino-Mascali ha rinvenuto in Sicilia. La sua introduzione reca il titolo “Una tradizione nobile”. Al suo interno si possono leggere le seguenti parole, vergate a mano dall’autore: «Il costume di tramandare ai posteri l’aspetto integro dei nostri cari così com’erano al momento della loro dipartita è fra quelle compassionevoli consuetudini che abbiamo ereditato da un antico passato e che si sono preservate nel tempo» (passo tratto dall’articolo Alfredo Salafia: Master Embalmer, D.P.Mascali e M. Johnson Williams – American Funeral Director, March 2009).

Diverse sono le pubblicazioni messe in evidenza da Piombino-Mascali che parlano di Salafia (fra queste ho potuto isolare quella di un mio parente alla lontana, Oreste Maggio, un valente medico di Ficarazzi – un paesino in provincia di Palermo – autore del saggio “Un “pietrificatore” palermitano. In: Medicina & Storia, 16, VIII, 169/178”, che divenne famoso per aver tratto da un piccolo pesce d’acqua dolce di origini tropicali, la Gambusia, la sostanza che, somministrata sotto forma di vaccino ai suoi compaesani, li salvò da una terribile epidemia di malaria, durante la prima metà del Novecento). Consultando quelle fonti si viene, per esempio, a conoscenza che, nel 1909, il “pietrificatore” si recò persino a New York, dove fondò una società per mettere in pratica il suo metodo anche oltremare. Tenne anche alcune conferenze per divulgare i principi del suo fluido magico – è nota quella che si svolse presso l’”Eclectic Medical College” – anche se, di lì ad un paio d’anni, fece ritorno a Palermo, dove operò fino alla morte, sopraggiunta per emorragia cerebrale una ventina d’anni dopo, nel 1933.

Fra le vittime illustri, è il caso di scriverlo, che passarono per le abili mani di Alfredo Salafia, oltre a Francesco Crispi, ricordiamo l’etnografo Giuseppe Pitrè e l’editore Salvatore Biondo. Niente male per un autodidatta, dato che Alfredo Salafia non conseguì alcuna laurea, pur avendo dedicato l’intera esistenza a quell’arte millenaria, a quella “consuetudine gentile”. E pensare che delle sue spoglie mortali, che sono state disseppellite nel 2007, non sono rimasti che pochi frammenti polverosi. Strano destino per l’uomo che aveva scoperto l’elisir di lunga morte.

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