Grazie al veleno dell’ape una cura valida per artriti e reumatismi
Quello dell’apiterapia sembra essere un metodo vecchio come il mondo, sperimentato ed utilizzato da migliaia d’anni in molte zone del pianeta. Di essa parlano le fonti storiche dell’antico Egitto e quelle latine, mentre dobbiamo al medico sovietico Lukomski i primi studi contemporanei, della fine dell’Ottocento, sulle sue applicazioni terapeutiche.
Agli inizi del Novecento, poi, in Europa, presero il via le pratiche mediche che, ben presto, approdarono in America, grazie a dottori del calibro di Bódog Beck, un Ungherese che emigrò negli Stati Uniti dove, nella prima metà degli anni ’30, pubblicò il libro “Bee Venom Therapy” (“Apiterapia”), fino ad oggi il manuale più completo sulla storia e l’esperienza clinica dell’apitossina. Di seguito un breve estratto dal manuale: «Il veleno secca rapidamente a temperatura ambiente. Asciugandosi si converte in una sostanza gommosa, senza alcuna perdita di virulenza. È molto termostabile, può infatti sopportare temperature di 100° C per dieci giorni senza perdere la sua potenza. Il freddo, persino il congelamento, non distruggono i suoi effetti.» (Bodog Beck, Apiterapia, 1999, Nuova IPSA Editore)
È di un mese fa circa la notizia secondo cui in una clinica di Pechino denominata Kang Tai, un gruppo di medici, guidati dalla dottoressa Zhang Cheng, sta curando alcuni pazienti affetti da artrite con l’apitossina. Secondo l’antica medicina cinese, infatti, la sostanza tossica contenuta nella parte terminale dell’addome e nel pungiglione dell’insetto, se diretta ad alcune zone specifiche del corpo umano, ha il benefico effetto di sollecitare la circolazione sanguigna (essendo un potente anticoagulante) di ridurre le infiammazioni e il dolore ad esse collegato, nonché di sollecitare il sistema immunitario. Quando l’ape conficca il suo aculeo nella pelle, muore, in quanto viene strappata via pure la parte dell’intestino contenente le ghiandole che secernono la sostanza tossica, ma la moderna scienza medica ha fatto sì che, oggi, sia possibile estrarre il veleno dall’insetto senza provocarne il decesso. E così sono nate gocce e pomate (persino un preparato omeopatico in diverse diluizioni, “Apis mellifera”) da applicare in modo diretto sulle parti doloranti. Prima di sottoporre i pazienti all’apiterapia, però, è d’obbligo effettuare il test di tolleranza, in quanto il veleno dell’ape non può essere assunto da soggetti allergici. Dopo di che si può procedere all’applicazione del rimedio sulla cute.
I principi attivi dell’apitossina sono la mellitina l’istamina, l’apamina ed il peptide 401, che agisce sull’ipòfisi favorendo la produzione di cortisolo. Il raggio d’azione di queste sostanze è abbastanza ampio e permette di migliorare lo stato generale di pazienti affetti dai reumatismi articolari, dalla gotta, dall’eresipela, – un’infiammazione acuta della pelle – fino all’artrosi e all’artrite reumatoide, all’orticaria e alla nefrite. A seconda del disturbo da curare, la terapia viene somministrata a cicli che vanno dalle due alle otto settimane con applicazioni bisettimanali.
La tradizione popolare conosce bene le proprietà terapeutiche di questa sostanza, tanto che in diverse nazioni europee, come Francia, Repubblica Ceca ed Austria, l’apiterapia è riconosciuta da leggi statali. Lo stesso non si può certo dire per l’Italia, Paese in cui ancora troppe sono le resistenze, avallate dalla letteratura medica ufficiale, nonostante il fatto che i suoi benefìci siano stati dimostrati in modo ampio ed esaustivo dagli oltre 2.000 titoli scientifici pubblicati sino ad oggi. Varrebbe forse la pena di approfondirli.