Gli inediti di Umberto Bindi, appena usciti dall’oblio mediatico, approdano al Ducale di Genova
Mercoledì trenta settembre 2009, presso la sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale a Genova, si è svolto lo spettacolo Tanto per scrivere, un tributo culturale e musicale al cantautore ligure Umberto Bindi.
Realizzato dall’Assessorato alla cultura della Regione Liguria, l’evento ha visto la direzione artistica e la conduzione di Gian Piero Alloisio, cantante, attore e autore di canzoni e commedie, nonché la partecipazione di un nutrito gruppo di ospiti speciali, fra i quali il grande paroliere Giorgio Calabrese (E se domani, Arrivederci, Il nostro concerto), autore di molti dei testi messi in musica da Bindi, il giornalista e scrittore Maurizio Maggiani, il compositore Vittorio De Scalzi, voce e leader dei New Trolls, il cantautore Federico Sirianni, il comico Adolfo Margiotta, l’attrice di teatro Myria Selva, che lavorò al fianco di Gilberto Govi e, per finire, Moni Ovadia che, a tarda notte, ha concluso la «conferenza musicale – teatrale» come lo stesso Alloisio l’ha definita. Le prime file hanno ospitato, oltre alla sorella del cantautore, Marisa Bindi e a Massimo Artesi, il compagno dell’artista scomparso e presidente dell’Associazione Umberto Bindi, nomi illustri del panorama culturale, artistico e musicale italiano, fra cui alcuni rappresentanti della Fondazione Luzzati e del Teatro della Tosse, don Andrea Gallo della Comunità di San Benedetto al Porto e Adriano Martino, figlio del noto cantautore Bruno Martino.
Lo sterminato archivio ritrovato nelle case di Bindi ha riportato alla luce moltissimo materiale, soprattutto inedito, fatto di spartiti musicali, dischi a 33, 45 e 68 giri, musicassette, testi, musicati e non, fotografie e strumenti musicali, un vero e proprio tesoro da cui Alloisio, con l’aiuto di Maggiani, ha tratto diciotto brani inediti tutti proposti in sala. Ogni contributo artistico è stato intervallato dall’intervento di questo o quel personaggio famoso che ha conosciuto e amato Umberto Bindi e la sua opera in un susseguirsi di musica, citazioni dotte, balletto, canzoni, filmati e letteratura. Inoltre il primo omaggio canoro del secondo tempo è stato affidato al maestro Gianni Martini, che ha diretto il coro Quattro canti in Male morire d’amore, una canzone inedita che ha commosso molti dei presenti per l’intensità dell’interpretazione. Il lavoro svolto finora da Gian Piero Alloisio ha permesso di campionare e digitalizzare i suoni di quei diciotto pezzi registrati su musicassette e di tanti altri brani. Ogni nastro sta subendo l’inesorabile passare del tempo e la conseguente smagnetizzazione e molto ancora resta da fare per garantire un futuro a tutto il materiale ereditato da Artesi e confluito nell’associazione che porta il nome dell’artista ligure.
Sarebbe un vero delitto perdere il testamento artistico di un esponente dimenticato di un’Italia che spesso non dà il giusto rilievo alle sue glorie nazionali. Nel caso di Bindi l’oblio è presto seguito alla sua pubblica dichiarazione di omosessualità quando, poco dopo il successo ottenuto con Il nostro concerto, il mercato discografico italiano gli ha precluso ogni possibilità di continuare a fare il compositore di musiche che ricordano sinfonie, con l’aggiunta di parole uscite dalla penna di personaggi come Luigi Tenco, Gino Paoli, lo stesso Giorgio Calabrese e Mogol, per citare solo i più famosi. I sacchi, le valigie e gli scatoloni da aprire per inventariarne il materiale sono ancora molti e sarà bello, per chi ci si metterà d’impegno, tirare fuori altri pezzi inediti, al fine di consegnare ai posteri la musica “nuova” di uno degli autori più importanti della musica italiana. Nonostante l’emarginazione. «Ogni tanto mi lascio portare dalla creatività, dalla fantasia e sono le cose mie più vere, senza pensare a un fine di locazione, di sfruttamento, scrivo così, tanto per scrivere» recita la voce un po’ gracchiante dell’artista uscita da uno dei tanti nastri magnetici trasferiti su supporto multimediale. Ed è proprio questo ciò che a Bindi restava da fare, nelle lunghe giornate trascorse nell’oblio. Scrivere. Per sé solo. Fino alla morte, sopraggiunta per arresto cardiaco all’ospedale Spallanzani di Roma, il 23 maggio del 2002.
Da tempo malato di cuore e indigente, in quanto non gli era mai stata riconosciuta una pensione, con la sola compagnia dell’amante, Massimo Artesi, Umberto Bindi se n’è andato per sempre lasciandoci in eredità un capitale di inestimabile valore artistico e culturale che è tutto ancora da scoprire. «Bindi ha sofferto un’emarginazione mediatica senza uguali», sono parole di Vittorio De Scalzi e, a dispetto di chi lo ha relegato nello scomodo cantuccio dei perdenti e ad esclusivo beneficio di quanti vedono nella cultura un mezzo, forse l’unico, per elevare lo spirito, Umberto Bindi si è ripreso, da morto, tutto ciò di cui è stato privato da vivo. La dignità. La musica. L’amore. Una vita intera.