Gli effetti benefici della capsaicina, il componente piccante dei peperoncini
Forse non tutti sanno che fu il chimico Wilbur Scoville a ideare, all’inizio del secolo scorso, una scala di misurazione del grado di bruciore prodotto dai peperoncini. Correva l’anno 1912 e Scoville si basò, almeno all’inizio, sulla diluizione che fu necessaria a far diminuire il piccante nella bocca dei suoi volontari.
La sostanza unica responsabile della sgradevole sensazione di fuoco che si prova ogni volta che un pizzico di peperoncino viene a contatto con la mucosa orale – e non solo – è la capsaicina, un composto chimico appartenente agli alcaloidi “fenilalchilaminici” – isolato nel 1816 da un certo P. Bucholtz – prodotto da alcune ghiandole che si trovano tra la polpa del peperoncino e la placenta, che ne racchiude i semi.
Questo tipo di alcaloidi è alquanto stabile e resiste alle alte così come alle basse temperature ed è anche poco solubile in acqua, pertanto non è consigliabile berne per alleviare il bruciore, che viene neutralizzato in modo più facile se si ingerisce un cucchiaino di olio d’oliva. Come agisce la capsaicina sulle mucose e sulla pelle dell’uomo e dei mammiferi? Le terminazioni nervose dell’epidermide sono dotate di un recettore cui la sostanza si lega immettendo nel neurone un flusso di ioni calcio che è in grado di ingannare il cervello e di indurre una sensazione di bruciore o di dolore (un po’ come accade quando si fa sciogliere in bocca una caramella a base di menta, il che fa avvertire un senso prolungato di freschezza). In realtà nulla di tutto ciò accade, semmai è vero il contrario.
La capsaicina ha la proprietà benefica per il corpo umano di alleviare il male anche più acuto. Ciò accade perché essa è così intelligente da riuscire ad influenzare i recettori del dolore. Come? Li aiuta ad adattarsi agli stimoli. Un recente studio a firma Jing Yao e Feng Qin ha dimostrato che «il recettore funziona come un cancello per i neuroni: quando viene stimolato si apre, lasciando entrare il calcio finché il recettore si chiude, secondo un processo noto come “desensibilizzazione” (…) Si ritiene che l’effetto analgesico della capsaicina coinvolga proprio tale fenomeno; tuttavia non era finora chiaro in che modo la perdita di sensibilità sia determinata dall’ingresso degli ioni calcio.» In pratica la capsaicina agisce in modo diretto su un acido grasso (PIP2), presente nella membrana cellulare, in modo da alleviare molti stimoli dolorosi per mezzo della desensibilizzazione.Il recettore non risulta di per sé desensibilizzato, ma muta la sua risposta rispetto allo stimolo doloroso.
La scoperta fatta dai due scienziati ha a che vedere con la capacità costante di adattamento del neurone stesso stimolata dalla capsaicina, che consente agli organi sensori periferici del dolore di autoregolarsi senza una soglia costante. Pensiamo alla varietà di applicazioni cliniche che questo studio apre per la medicina. Il dolore periferico, per esempio, causato dai tumori, dal virus HIV o dall’artrite, dal diabete o dall’herpes zoster (il fuoco di Sant’Antonio) può essere di molto alleviato con applicazioni locali di pomate a base di peperoncino piccante ad alte concentrazioni di capsaicina. Sul mercato ne esistono di varie marche e risultano essere tutte molto efficaci.
Esiste poi un disturbo che va sotto il nome di artrite psoriasica, una malattia infiammatoria cronica senza cura che attacca il tessuto connettivo delle articolazioni, rendendole rigide e doloranti, motivo per cui molti medici non fanno altro che somministrare questi stessi linimenti.
E che dire delle applicazioni in campo alimentare dei benefìci della capsaicina? Ebbene, sembra che essa abbia un effetto positivo sul controllo della fame, in quanto agisce sugli ormoni intestinali GLP-1 (Glucagone-Like Peptide), PYY (Peptide YY) e Grelina (l’ormone dell’appetito) e sul conseguente senso di sazietà che si avverte ad ogni fine di pasto. Ciò apporta indubbi vantaggi alle diete a basso contenuto di calorie, specie se la capsaicina viene combinata con il tè verde, come hanno dimostrato due recenti studi (A.J. Smeets, M.S. Westerterp-Plantega, “The acute effects of a lunch containig capasaicin on Energy and substrate utilizations, hormones and satiety”, European Journal of Nutrition, 48; H.C. Reinbach, A. Smeets, T. Martinussen, P. MØller, M.S. Westerterp-Plantenga,”Effects of capsaicin, green tea and CH-19 sweet pepper on appetite and energy intake in humans in negative and positive energy balance”, Clinical Nutrition 28 (2009) 260-26).
Insomma, la tanto vituperata capsaicina, che induce ad afferrare un bicchiere pieno d’acqua nel vano tentativo di spegnere un fuoco illusorio, può essere oggi riabilitata e addirittura annoverata fra le sostanze benefiche per l’essere umano, nonostante ancora troppe resistenze incontri fra quei medici che ne sconsigliano l’assunzione mediante pomate lenitive che causerebbero, a loro dire, irritazioni locali. Il metodo empirico è l’unico in grado di toglierci ogni dubbio. Provare per credere.