Dieci corti d’autore. Fioraie di Francesco Maselli
Citto è il nome con il quale il regista romano Francesco Maselli è noto in tutto il mondo. Nato nel 1930 e cresciuto all’interno di una famiglia dalla grande cultura, il giovane artista crebbe a stretto contatto con diversi grandi scrittori dell’epoca.
Nel 1949 si diplomò presso il Centro Sperimentale di Cinematografiadi Roma e, di lì a poco, ebbe inizio la sua avventura di cineasta, dapprima come assistente alla regìa di Michelangelo Antonioni, anche se sono famose le sue collaborazioni con Visconti e Zavattini. Il piglio neorealistico delle pellicole maselliane si spinge ad un punto tale di crudezza da divenire il suo marchio di fabbrica (La donna del giorno, I delfini, Gli spostati, Gli indifferenti, Lettera aperta a un giornale della sera, Il sospetto, ecc.)
Fioraie(Italia, 1952, 11′) è un cortometraggio dal quale questo tratto caratteristico del cinema di Maselli fuoriesce in modo prepotente che narra la pesante vita delle fioraie ambulanti che, ogni giorno che Dio manda in terra, devono raggiungere il centro di Roma dalle periferie per vendere i fiori appena raccolti alle persone che incontrano per strada. Nessun gesto di quelle mani esperte è lasciato al caso: poiché il materiale maneggiato è alquanto deperibile, occorre che i mazzetti vengano preparati con cura e bagnati nell’acqua delle fontane circostanti; in questo modo potranno essere offerti alle ed ai passanti, nella speranza di riuscire a racimolare qualche soldo. Osservando questo mirabile esempio di cinema breve delle nostre origini, si può notare l’impronta del maestro Antonioni percepita, assimilata e fatta propria dal suo allievo più promettente, colui che mise il suo grande talento di narratore per immagini al servizio del pubblico pagante che avrebbe affollato le sale cinematografiche negli anni a venire.
Prodotto da Giuseppina Bazzichelli per Astra Cinematografica, Fioraieci mostra una Roma invernale in bianco e nero con panoramica sulla periferia, mentre la voce narrante ci introduce il tema del corto. Le giovani donne povere che si sono inventate un mestiere per sopravvivere alla povertà sono una trentina solo nella Capitale e, spesso, sono costrette ad acquistare le viole a basso costo dai fiorai cittadini. Il luogo di ritrovo privilegiato dal gruppo di giovani donne è Villa Borghese: sedute sulle panchine, le fioraie iniziano a separare i grandi mazzi di viole in gruppetti più piccoli, i cui gambi, abbelliti con qualche foglia, verranno ricoperti di carta stagnola oppure tenuti insieme da qualche giro di spago. I mazzetti così ottenuti vengono poi immersi nell’acqua delle fontane vicine, in modo che non si sciupino. E così ha inizio l’ennesima, dura giornata di lavoro, fatta di rincorse delle persone che passano, rifiuti, sgarbi, liti e quant’altro, nella viva speranza che qualche persona acquisti il risultato della fatica delle loro mattinate trascorse nel centro cittadino. Che vi sia freddo, caldo, pioggia o vento le donnine sono lì, in giro per le vie più famose di Roma, i piedi doloranti, a vendere la loro disperazione. Solo all’imbrunire si concedono il lusso di mettere qualcosa sotto i denti, per poi contare il denaro raccolto e, cosa ancor più importante, dare un’ultima bagnata ai mazzolini rimasti, affinché i fiori possano durare sino al giorno seguente. Dopo di che fanno ritorno nelle lontane zone periferiche di una Roma ancora segnata dalla fame del dopoguerra. La miseria nera è la vera protagonista di questo corto d’autore dal grande realismo.
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Lidia Borghi