Dieci corti d’autore. Contadini del mare di Vittorio De Seta
Con questo post, dedicato al corto Contadini del maredi Vittorio De Seta, ha termine la rassegna di commenti ai Dieci corti d’autoreprovenienti dall’immenso archivio audiovisivo dell’Istituto LUCE.
Vittorio De Seta era palermitano. Regista e sceneggiatore, classe 1923, prima di dirigere le sue pellicole più famose fece una lunga gavetta come documentarista, grazie alla quale gli furono conferiti molti riconoscimenti. Fu questa attività che lo portò a filmare i tanti luoghi delle due isole maggiori, immortalate in video che avevano lo scopo di documentare il modo di vivere del proletariato nel Centro-sud del Paese. Alcuni suoi lungometraggi, tra cui Banditi a Orgosoloe Uomo a metà, mirabili esempi di Neorealismo, si aggiudicarono dei premi importanti e richiamarono sul regista l’attenzione di alcuni fra i più grandi intellettuali del tempo, Moravia e Pasolini in primis.
Contadini del mare(Italia, 1953/55, 10′,10”) documenta la pesca del tonno in quanto antichissima usanza siciliana che si tramanda da tempo immemorabile e si compie con gli stessi rituali che i padri hanno insegnato ai figli. Prodotto a colori da Astra cinematograficain Cinemascope, montato dallo stesso De Seta, che ne ha curato anche regìa e fotografia, è privo del commento poiché a parlare sono le persone stesse che compaiono nel corto, quegli uomini di mare che, con le loro barche, si allontanano di poco dalle coste siciliane ed attendono che i tonni passino per la stessa rotta seguita da sempre; le reti vengono gettate in mare e raccolgono il frutto di una caccia millenaria fatta di sangue ribollente, di morte e di fame, di urla e di disperazione. Èl’alba ed i barconi si avvicinano al punto in cui la cattura dei tonni avrà tra poco inizio. A bordo di lance e gozzi si attende il momento giusto per dare il via all’agguato mortale. Alcuni uomini, di vedetta, osservano il fondo del mare. È arrivata l’ora: tra pochi secondi il pelo dell’acqua si incresperà fino a ribollire, tinto di un rosso brillante, quello del sangue dei tonni catturati. Tutto avviene con la sola forza delle braccia. Per sentire di meno la fatica necessaria ad issare le pesanti reti a bordo viene intonato un canto in lingua sicula. Le barche si sono nel frattempo chiuse a formare un quadrato, affinché i tonni imprigionati non possano scappare. Le bestie sono in trappola. Le loro lunghe pinne dorsali agitano le acque, ora bianche ora rosse. Gli uomini imbracciano gli arpioni con i quali tirano i pesanti corpi, enormi, dei pesci catturati. Tutt’intorno solo urla, schizzi di acqua salata e sangue. Alla fine del rituale i pescatori si tolgono i berretti dalla testa e ringraziano Dio per la pesca miracolosa. Ed è già tempo di tornare. A riva c’è chi attende questi uomini dalla pelle incartapecorita da anni ed anni di esposizione ad un sole implacabile. A tramonto inoltrato si tocca la terraferma.
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Lidia Borghi