Cresci, ma non fiorire! Un ricordo di don Michele De Paolis
Don Michele De Paolis era un sacerdote salesiano di frontiera: fu lui ad ideare la Comunità Emmaus di Foggia nel 1978 e, dal 2010 fino a pochi giorni prima della morte, avvenuta il 29 ottobre 2014, ha ricoperto il suo ruolo di guida spirituale all’interno del gruppo AGEDO (Associazione Genitori Ed amici Di Omosessuali) della cittadina pugliese; fu lui a co-fondarlo insieme a Gabriele Scalfarotto, morto nel 2013, don Dino D’Aloia e due coraggiosi genitori di un giovane gay, Maria Rosaria e Tonino, cattolici praticanti.
De Paolis era ultranovantenne e, malgrado la non più giovane età, tutti i giorni riusciva a trovare un po’ di tempo per sedersi davanti al PC, rispondere ai tanti messaggi di posta elettronica e frequentare i social network, di cui si serviva per rendere note al pubblico le occupazioni sue e del gruppo di madri e padri cui offriva l’attività pastorale.
Contattai De Paolis nel 2011 quando, grazie al Progetto Gionata su fede e omosessualità, ebbi l’onore e l’opportunità di curare la stesura della prima indagine italiana dedicata ai famigliari credenti di alcune persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (l’e-book Testimonianze di fede, scaricabile sotto forma di risorsa gratuita dal portale www.gionata.org); lui si dimostrò una persona davvero disponibile, con la quale ebbi la possibilità di dar vita ad un dialogo alquanto proficuo, durante il quale il prelato riservò alla questione riguardante l omosessualità e fede parole di grande apertura, provenienti da un cuore avvezzo alla frequentazione dei Vangeli.
I suoi pensieri sono oggi quantomai attuali, soprattutto alla luce dell’ennesima invettiva lanciata pochi giorni fa contro il matrimonio fra persone dello stesso sesso da parte del capo dei Vescovi italiani, Angelo Bagnasco, secondo il quale la famiglia naturale – che può essere solo quella formata da un maschio biologico e da una femmina biologica a scopi procreativi – è «”sorgente di futuro”. Indebolirla “creando nuove figure, seppure con distinguo pretestuosi che hanno l’unico scopo di confondere la gente e di essere una specie di cavallo di Troia di classica memoria, è irresponsabile”».
La disamina dell’Arcivescovo di Genova, durante la sessantasettesima conferenza dei Vescovi italiani ad Assisi, ha teso a sottolineare – semmai ve ne fosse ancora bisogno – che alla famiglia, così come specificato dalla Costituzione della Repubblica italiana, spetta il ruolo di protezione e difesa della Nazione ovvero quella “rete benefica, morale e materiale” altrimenti detta “familismo” – ha continuato il capo dell’Episcopato vaticano – che ci renderebbe persone orgogliose sia in Patria che oltreconfine. Il verbo al condizionale è mio.
Verrebbe da dire che la Chiesa Cattolica di questo nostro caotico e precario presente stia viaggiando a due velocità, quella di un Papa dalle grandi aperture, in merito ad alcuni dei temi più caldi della cosiddetta morale (la fine della vita, l’aborto, la comunione alle persone separate, divorziate e/o risposate, la fecondazione assistita, il matrimonio fra persone dello stesso sesso e l’adozione estesa alle stesse) e quella imposta da un Episcopato che continua con ostinazione ed accanimento a restare aggrappato, con le unghie e con i denti, alla tradizione della Catechesi e del Magistero, i cui punti dedicati al controverso e mai risolto argomento dell’omosessualità sono oramai noti.
A tal proposito, ricordo ancora le parole che don Michele De Paolis, nel 2011, riservò alla scottante questione dell’omoerotismo: «Alcune persone di chiesa dicono: “Va bene essere omosessuali, ma non debbono avere rapporti, non possono amarsi!”Èla massima ipocrisia. Ècome dire a una pianta che cresce: “Tu non devi fiorire, non devi dar frutto!”Questo sì, è contro natura!»
Perché il punto è tutto lì: per il Cattolicesimo dei vertici l’omosessualità, se agita, mette le persone che amano individui del loro stesso sesso nella condizione di grave peccato, ergo: è opportuno che esse instaurino con quelli delle relazioni di profonda amicizia, punto e basta.
Le parole di De Paolis in merito alla questione mi diedero, a suo tempo, un grande sollievo: «Gesù, alla famiglia, privilegia la comunità, cioè lo stare insieme per libera scelta, per amore. Dove c’è amore, lì c’è Dio. Se tra due persone c’è vero amore (fatto non solo di eros, ma anche di filìa, e soprattutto di agape), cioè dono reciproco di sé, per cui si ricercano l’un l’altro, si vanno conoscendo gradualmente con stupore, si sostengono, si perdonano, si impegnano in un comune progetto di vita; bene, dove c’è questa qualità di amore, lì c’è Dio.»
E allora come considerare l’ennesimo attacco operato da Angelo Bagnasco alla predisposizione naturale delle lesbiche e dei gay cui dovrebbero spettare, per legge – laica – di uno Stato – laico – e di un Parlamento – laico – pari diritti, eguali doveri e stessa dignità sociale in merito al matrimonio ed all’adozione di creature abbandonate, rispetto al resto della popolazione italiana?
Come vedere tutto questo guardare sempre ad un passato di obblighi religiosi imposti per dogma alle persone cattoliche, obblighi che riescono a tenere in scacco un’intera Nazione, il cui immobilismo parlamentare – persino in merito all’approvazione di una legge che punisca come aggravanti i reati di stampo omofobico – è già causa di pesanti sanzioni da parte dell’Unione europea, poiché il nostro Paese non ha ancora messo mano all’abbattimento dell’evidente squilibrio sociale, che pone le persone lesbiche, gay e transessuali nella condizione di sentirsi cittadine di serie B?
Lo stesso Sinodo straordinario della famiglia, svoltosi all’inizio di ottobre scorso, ha reso chiaro l’immobilismo dottrinario dei vertici del Cattolicesimo nazionale evidenziando, in tal modo, quantomeno due questioni: la necessità, urgente, che lo Stato italiano si liberi una volta per tutte dei lacci e lacciuoli che ancora lo tengono legato a doppia mandata al Vaticano – attraverso i Patti Lateranensi del 1929 di mussoliniana memoria ed il nuovo Concordato, stipulato fra Craxi e Casaroli nel 1984 – per divenire, infine, laico a tutti gli effetti, nonché l’evidente disonestà intellettuale dell’Episcopato italiano il quale, mentre continua imperterrito a difendere ciò che oramai risulta essere impropugnabile, non mostra segni di pentimento e, anzi, dimostra di vivere nel peccato di omossione, nel momento in cui evita di mettere in pratica il volere del Cristo attraverso il Vangelo, uno dei libri più rivoluzionari – qualcuno direbbe comunisti, ma questa è un’altra faccenda – che mai mano umana abbia scritto.
La lungimiranza di preti di frontiera come don Michele De Paolis sta dimostrando a tutte e tutti noi che la volontà di cambiamento è forte e tenace quanto la voglia, da parte delle persone omo/transessuali, di vivere vite autentiche, fatte di consapevolezza e di rispetto, quello stesso che manca – duole constatarlo – nelle parole e negli atti della gran parte delle persone di Chiesa. Quella Cattolica.
Link di pubblicazione – Rosso Parma