Corti illustri. Une visite di François Truffaut
Une visite (Francia, 1954, 19′-7′,40”, b/n, 16 mm) è la prima prova registica in assoluto del Truffaut critico cinematografico e rappresenta a tutti gli effetti il suo passaggio dal cinema scritto a quello diretto.
Girato in 16 mm, in bianco e nero e senza dialoghi, questo cortometraggio ha diverse particolarità, a cominciare dal titolo originale, che sembrerebbe essere La visite; la pellicola venne donata a François Truffaut dall’amico/produttore Robert Lachenay; inoltre il breve film venne girato tra amici: Jacque Rivette ne curò la fotografia, Alain Resnais ne montò una delle versioni, Jacques Raymond Doniol-Valcroz procurò il luogo delle riprese – la sua casa – oltre alla figlia di pochi anni. Si tratta della prima apparizione non adulta della feconda produzione cinematografica di Truffaut.
Nelle parole del grande regista francese la trama: «La storia è quella di un ragazzo che cerca una camera tramite gli annunci sui giornali. Una ragazza risponde per telefono, egli arriva al suo appartamento con la valigia; entra e cade lungo disteso sul pavimento, cosa che fa ridere la ragazza. Lei ha un fratello (io ero il solo a sapere che era suo fratello, lo spettatore non capiva niente); il fratello è malamente sposato e arriva per affidare la figlia di 5 anni alla sorella. Dunque nell’appartamento ci sono, il nuovo locatario, la ragazza e la bambina» (fonte)
A Truffaut proprio non piacque quella sua spuria opera prima, girata con mezzi poco meno che di fortuna, grazie ad un gruppo di amici, per di più all’interno di un appartamento che l’allora moglie di Doniol-Valcroz, Lydie Mahais, aveva accettato di mettere a disposizione a patto che marito ed compari badassero alla figlia Florence.
Une visite è quindi, secondo le parole del suo autore, brutto. Punto. Tanto che l’amico Resnais gliene chiese una copia per vedere se, attraverso un altro montaggio, la pellicola potesse in qualche modo migliorare nel suo risultato finale. Sì, perché pare che la versione montata da Truffaut fosse più lunga di quella che venne fuori dal taglia e cuci dell’amico.
L’intento di Truffaut era quello di discostarsi alquanto dai film amatoriali dell’epoca, intrisi di violenza sanguinolenta, tanto che l’uomo girò la sua pellicola senza colore ma con molta luce, al fine di farla assomigliare ad una commedia alla George Cukor; peccato che il corto fosse sprovvisto di dialoghi.
Una cosa è certa: il risultato finale di Une visite sarà anche mediocre, sempre secondo il giudizio lasciatoci dal suo autore, in ogni caso ci troviamo di fronte ad un esempio di cinema breve che, già dalle parole di Truffaut, ben rappresenta la sua volontà di non conformarsi al modo a lui coevo di fare film; ecco perché volle dare un taglio retro al suo corto.
Altra curiosità legata alla storia di Une visite: Truffaut volle liberarsene per sempre, nonostante tutto il buono che dal suo montaggio il regista riuscì ad imparare (il taglia e cuci gli permise di eliminare molti errori di ripresa); e così la regalò alla mamma della piccola Florence come ricordo d’infanzia. Ecco perché oggi l’unica copia esistente di Une visite è in possesso della cultura cinematografica francese; Lachenay l’aveva regalata a Truffaut – subito dopo il montaggio di Resnais – e quest’ultimo l’aveva riversata in 35 mm poco prima di consegnarla alla mamma della sua piccola co-protagonista.
«Finito il film, ho preso in prestito un visore e una giuntatrice per montarlo e ci ho messo un sacco di tempo. È lì che ho imparato di più; ho fatto saltare le porte che si aprivano, tutto il superfluo. Ad ogni modo non c’era una storia, era incomprensibile ed improiettabile.» (fonte: Oreste De Fornari, I film di Francois Truffaut, Gremese editore, Roma, 1986)
Sul web non ho trovato il cortometraggio in questione da visionare per intero, al fine di farmi un’idea un po’ più precisa dell’opera, in ogni caso le fonti a mia disposizione mi hanno permesso di offrire alle lettrici ed ai lettori di questo blog un quadro mi auguro esaustivo di Une visite, un cortometraggio che merita di essere analizzato anche solo per comprendere come la poetica di Truffaut fosse ben presente già nelle sue prime prove di cinema dietro la macchina da presa.
«Noi ci consideravamo tutti ai Cahiers come futuri registi. Frequentare i cineclub e la Cineteca era già pensare cinema e pensare al cinema. Scrivere era già fare del cinema, perché tra scrivere e girare c’è una differenza quantitativa e non qualitativa(Jean Luc Godard)» (Fonte: Giandomenico Curi, corso di Semiologia del cinema e degli audiovisivi – La nuova onda di Godard e Truffaut, anno accademico 2009/2010, università La Sapienza di Roma).
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Lidia Borghi