Corti illustri. Les Mistons di François Truffaut
Les Mistons (Francia, 1957, 26’/17′, b/n) è il secondo cortometraggio diretto da François Truffaut. Già mi sono occupata, nella mia prima panoramica esteradei corti illustri, delle opere di cinema breve di questo grandissimo regista francese, mentre qui voglio approfondire il tema di un lavoro che, esso solo, meriterebbe di essere trattato all’interno di un intero libro.
Tratto dal racconto Virginalesdi Maurice Pons, il corto Les Mistons(i monelli) fu interpretato dai coniugi Gérard Blain e Bernadette Lafont, la stessa coppia che, l’anno seguente, avrebbe dato vita ad uno dei primissimi esempi di Nouvelle Vaguefrancese nel film Le Beau Serge di Claude Chabrol. Le musiche originali furono composte da Maurice Leroux, il quale diede vita a dieci brani di non più di un minuto ciascuno.
Prodotto da Robert Lachenay per Les Films Du Carrosse, la casa cinematografica presieduta dallo stesso Truffaut ed amministrata dal suocero André Bazin, padre della splendida moglie Madeleine Morgenstern, Les Mistons ci narra, grazie ad un incisivo commento parlato, le vicende di due persone innamorate, Bernadette e Gérard, alle prese con i pesanti scherzi di cinque bulletti che, durante una vacanza estiva trascorsa nella cittadina francese di Nîmes, scoprono l’amarezza della morte, che segnerà il loro passaggio dalla pubertà all’adolescenza. Bernadette è giovane, bella e sensuale e, durante il dipanarsi delle scene iniziali, ci viene presentata attraverso un lungo piano sequenza mentre pedala sulla bicicletta che sta per condurla fra le braccia di Gérard, l’insegnante di educazione fisica che vuole sposarla. I cinque crudeli monelli spiano i fluidi movimenti della giovane e giungono ad un punto tale di sfacciataggine malvagia da raggiungere la radura boschiva in cui Bernadette ha lasciato la bici per spiarne le mosse mentre si bagna nelle acque di un fiume. I ragazzini hanno deciso di tormentare la donna e, per farlo, si mettono a seguirla fino all’incontro con il suo amato Gérard. Mentre i due si scambiano tenere effusioni, i monelli non trovano nulla di meglio da fare che deridere la coppia, imitandone in modo goffo i movimenti; non paghi di ciò, li seguono all’interno di un anfiteatro romano e si prendono gioco di loro con scherzi di cattivo gusto. Altra scena: Bernadette gioca a tennis con Gérard, spiata oltre la rete di recinzione del campo dai cinque terribili ragazzini. La telecamera si sofferma sul seno e sul gonnellino corto della giovane, senza che i monelli la perdano anche solo per un attimo di vista. Fumano e osservano. Osservano e commentano. La scena cambia e ci mostra i cinque terribili mentre scrivono – in una grafia ancora troppo scolastica – frasi ingiuriose nei confronti del loro comune oggetto di desiderio, quella giovane avvenente che non potranno mai possedere. Fino a che non riusciranno ad avvicinare con schiamazzi i due amanti, coricati su un prato mentre si scambiano tenere effusioni. Uno dei cinque rimedierà un paio di schiaffoni. La scena cambia ancora: Gérard sta per prendere il treno. Bernadette è triste perché il giovane si recherà in montagna per alcune escursioni; durante una di quelle perderà la vita. I crudeli monelli apprenderanno della tragedia da un articolo di giornale, non prima di aver indirizzato alla giovane una cartolina alquanto compromettente. Le ultime scene del corto ci offrono un’immagine di Bernadette, distrutta dal dolore, che riesce a toccare persino i cuori imbalsamati dei cinque bulli.
Il gusto di Truffaut per l’elemento documentaristico trova in questo ottimo esempio di cinema breve un punto molto alto, tanto che Les Mistons ricevette il premio alla miglior regìa al Festival di Bruxelles. Inoltre per molti addetti ai lavori dell’epoca questo corto rappresenta la rottura con il cinema francese delle tradizioni, quello che dovette cedere il passo al periodo della Nouvelle Vague, a fare grande la quale contribuì anche Truffaut, dopo aver smesso i panni del critico cinematografico per situarsi al di qua della macchina da presa, divenendone uno dei massimi esponenti insieme a Chabrol, Rohmer e Godard.
Molti i riferimenti, in questo corto illustre, al cinema del grande Jean Vigo e dell’inarrivabile Jean Renoir, ai quali Truffaut fu per sempre debitore proprio nel momento in cui decise di rompere con il passato e fare del mestiere del regista un atto di libertà attraverso il quale un autore o un’autrice possono dire la loro su un qualsiasi tema sociale.
François Truffaut soleva dire di essere interessato a narrare per immagini le storie delle persone. In questo cortometraggio – che in origine durava una ventina di minuti – lo ha fatto in modo mirabile, donando al pubblico di tutto il mondo un esempio di cinema breve fra i più significativi di tutti i tempi.
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Lidia Borghi