Un mimo. Un padre. Una via della grande città. Un piccolo palcoscenico sul quale mostrare a chi passa un’abilità acquisita che ogni persona conserva dentro di sé, in attesa che possa uscire fuori per esprimersi. Quel padre attira i passanti con la sua perizia. Lui sa come esprimere quelle sapienti movenze, quei gesti che si dispiegano nello spazio in modo silenzioso.
Senza parole ‘che le parole, spesso, sono superflue e, anzi, creano solo danni. Quel mimo è proprio bravo ed ha una marcia in più, anzi, due: riesce a trasferire la sua profonda sensibilità nei gesti sapienti, con il pensiero rivolto ogni istante, ogni minuto, alla piccola persona che lo attende a casa. E così il nostro protagonista, una volta terminato il suo spettacolo di strada, raccoglie le sue cose e, il viso truccato da clown e la bombetta calzata sulla testa, afferra la sua valigia bianca e se ne va. Durante il tragitto si ferma a guardare la vetrina di una pasticceria e decide di entrare per acquistare una bontà di cioccolata. La commessa, al di là del banco, sa già tutto quanto. Non ci sarebbe bisogno di parlare, ma una domanda la fa al mimo. Superflua, giacché ne conosce la muta risposta. “Sì”. Quando la scena cambia il mimo sta varcando la soglia della sua abitazione. Ad attenderlo, all’interno, quasi in penombra, il figlio, seduto sul divano; è pronto per recarsi a scuola, lo zaino sulle spalle, ma è molto triste. Il capo è chino, le braccia intrecciate sul busto. Il suo papà gli porge il dolce, ma quello è troppo intento a macerarsi nel suo dolore. Non vuole più andare a scuola. I compagni e le compagne di classe lo deridono, gli ricordano di continuo che lui non è come loro, che non è “normale”. E così il piccolo si è convinto di non essere come gli altri in quanto sordo. Sordo ovvero persona che, per una malattia contratta in tenerissima età o per cause genetiche, non ha l’uso dell’udito. Sordo ovvero anormale. Sordo uguale deficiente. Sordo. Come a dire menomato, ritardato, rifiuto della società. Nulla di tutto questo. Quel giovane scolaro è “un bambino uguale agli altri”, come gli ricorda il suo genitore ma, soprattutto, è forte e coraggioso. «Le persone dicono un sacco di stupidaggini – prosegue il mimo – meno male io e te non dobbiamo sentire.»
Una volta tanto ho voluto parlare di un cortometraggio d’autore a partire dalle immagini narrate, tali e tante sono le emozioni che questa storia ha suscitato in me. Smile (I, 2011, 8′,22”) è la toccante prova di cinema breve del giovane regista Matteo Pianezzi, classe 1981, attore di teatro e di cinema che, a giudicare dalla qualità del corto messo insieme, di sicuro farà strada anche nelle vesti di regista.
Prodotto da Manfredi Saavedra per Frentana Cinematografica e da Diero Productions, questo video esplora con garbo e delicatezza il multiforme mondo della sordità a partire dalla discriminazione che la gran parte delle persone sorde subisce sin dalla nascita e, mentre ci offre diversi spunti di riflessione in merito al concetto di inclusione, ci permette di fare i conti con il pregiudizio al fine di superarlo a partire da un semplice atto d’amore: come quel padre fa con il suo giovane figlio, che sta provando un forte disagio a causa del bullismo subìto a scuola, così anche noi, individui che la società considera normodotati, abbiamo la possibilità, guardando Smile fino ai titoli di coda, di ripensare il nostro concetto di accoglienza di chi è altro da noi mentre ci torna alla mente quella volta in cui a subire il bullismo scolastico siamo stati noi e magari a causa degli occhiali che tenevamo poggiati sul naso.
Il soggetto e la sceneggiatura di Smile sono dello stesso Pianezzi, il quale ne ha curato la regìa insieme a Giulio Mastromauro e Francesco Maccarinelli, mentre le graziose illustrazioni che impreziosiscono il corto sono di Francesco Venturi; a Dario Di Mella dobbiamo una fotografia accurata ed incisiva, soprattutto durante il dialogo fra il mimo e il giovane studente, mentre le abili mani di Francesca Guarino hanno montato le immagini per farci gustare ogni fotogramma di questo corto.
Di sicuro Smile farà tanta strada (intanto ha vinto la prima edizione del Festival Cinethica), prima di tutto per il chiaro messaggio che viene veicolato e poi perché è un piccolo gioiello che dovrebbe fare il giro dei festival cinematografici per corti del nostro Paese, al fine di far conoscere il grande lavoro che è stato svolto dietro le quinte, grazie al fattivo apporto dell’Istituto Statale Sordi di Roma (ISSR – http://www.issr.it/benvenuto.html), cui dobbiamo la conversazione silenziosa in Lingua Italiana dei Segni (LIS) che si svolge tra padre e figlio.
Per finire una doverosa sottolineatura: le persone che hanno perso o non hanno l’uso dell’udito sono sorde e non sordomute. C’è una bella differenza tra chi non parla perché ha avuto le corde vocali recise e chi non può perché non ha la possibilità di ascoltare i suoni articolati che fuoriescono dalla sua bocca. Già la discriminazione cui esse sono sottoposte è enorme se, poi, ci aggiungiamo il nostro pregiudizio, non riusciremo ad andare oltre per conoscere ed apprezzare coloro che ci stanno di fronte per le qualità umane di cui dispongono e non per una menomazione che, lungi dal renderli soggetti a metà, in alcun modo può essere oggetto di emarginazione.
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Lidia Borghi