Cinzia/Ethan, una testa che cammina
di Lidia Borghi
Chi è Cinzia, per chi non lo sa?
Cinzia sono io: una testa che cammina – da 52 anni – e ciò risponde perfettamente alla tua domanda. Tuttavia, il lettore, la lettrice, che non mi conoscesse per aver visitato e approfondito il mio sito Internet, ha certamente bisogno di altre informazioni che francamente fatico a mettere insieme: sono davvero tante le cose di cui dovrei parlarti, tante le cose che sono, che ho fatto e faccio. Per dirla in due parole, mi sono sempre espresso perlopiù in ambito artistico, creativo (disegno, pittura, scrittura, poesia, fotografia), solo negli ultimi 15 anni mi sono avvicinato ai temi legati ai diritti civili, alla politica, in particolare occupandomi, soprattutto nella prima metà degli anni duemila, delle problematiche LGBTQ+. Poi, non riuscendo a trovarmi d’accordo con ciò che è, fa e chiede il cosiddetto “movimento”, ho preso le distanze. Oggi mi occupo prevalentemente di fotografia e beni culturali. Bene o male, poco o tanto, sono un personaggio pubblico – pubblicamente in transizione.
Transgender per te: dalla tua presa di coscienza all’inizio del percorso di transizione.
Il mio corpo non mi ha mai corrisposto. Ma non l’ho mai odiato. L’ho usato, ci ho litigato e poi ho cercato di farci pace, talvolta mi è piaciuto, più spesso l’ho sopportato. Mi ha servito come ha potuto e come ha potuto ha cercato di farmi capire che stavo sbagliando tutto, che non avevo capito nulla. Alcuni e alcune si riferiscono al proprio corpo definendolo “sbagliato”. Il mio non è “sbagliato”. Semplicemente, intorno ai 12 anni, ha preso una strada diversa dalla mia, se n’è andato per conto suo, ma a quel tempo non c’era Internet, cambiare sesso era una cosa che si faticava persino ad immaginare, quasi non la si credeva possibile, per sé, specie se nati biologicamente donne. Un’enormità, insomma: servivano coraggio e soldi, tanti soldi. La transizione FtM, poi, era un autentico mistero – non se ne sapeva nulla. Così si finiva per scendere a patti, si cercava un compromesso, ci si rassegnava all’idea di doversi portare in giro come si era e lo si faceva meglio che si poteva. Ci si rassegnava al punto da credere che in fondo andasse bene così, che non vi fossero alternative. Si soffriva, in silenzio, tacendo la verità soprattutto a se stessi. E così ho fatto io allontanandomi sempre di più dal mio corpo, divenendo, appunto, una testa che cammina. Ho cominciato a perdere l’equilibrio una decina di anni fa. La distanza tra me e lui si stava facendo incolmabile e iniziavo a non avere più voglia di vivere. Ho toccato il fondo circa due anni fa. Stavo colando a picco quando è apparsa una mano che stringeva una lanterna. La mia compagna mi disse: ma se tutto questo star male dipendesse dalla disforia di genere? Fu come una folgorazione: per la prima volta i pezzi della mia vita andavano al loro posto senza forzature, ogni cosa, vista e ragionata da questo punto di vista, finalmente trovava una spiegazione. Una folgorazione che mi riempì di gioia e cominciai a transizionare, interiormente, senza rendermene conto. Non ne parlammo più. Lei era terrorizzata ed io non credevo che alla mia età avrei potuto affrontare un percorso così lungo e impegnativo, non pensavo neppure che fosse possibile tentarlo. Un anno dopo, però, i problemi tornarono a presentarsi, virulenti. Questa volta affrontammo seriamente l’argomento, senza reticenze. Nei suoi occhi era scomparso il terrore che vi avevo letto un anno prima – ruppi gli argini. Tempo qualche mese ed ero già in terapia psicologica presso il Consultorio TransGenere di Torre del Lago, il percorso era iniziato. Dal 23 Dicembre dell’anno scorso (2015) assumo regolarmente testosterone, sono seguito all’ospedale Cisanello di Pisa.
Qualche mese fa hai offerto al web le tue memorie, registrando una serie di video che testimoniano il tuo cammino. Perché è importante quel tipo di visibilità oggi, malgrado i social media siano un’arma a doppio taglio?
Seppur con tutti i limiti tecnici, ho deciso di farlo perché credo che sia necessario. Quello che manca è la testimonianza di persone che transizionanoin età avanzata, in particolare oltre i cinquant’anni, persone che quindi hanno maturato consapevolezze ed esperienze ad ampio raggio. Il panorama italiano è complessivamente sconfortante. Vi sono molti ragazzi giovani e giovanissimi che si espongono su YouTube, che fanno un lavoro importantissimo, ma non basta. Non basta parlare di cambiamenti fisici (muscoli, barba, voce), non vi sono solo le problematiche legate ai rapporti con i genitori e i compagni di scuola, i documenti scolastici e quant’altro, vi è tutto un mondo fatto di FtM che hanno figli propri, matrimoni alle spalle, che, data l’età, hanno una vita bene o male strutturata, avviata, che non ha sufficiente visibilità, di cui non si parla abbastanza e quando lo si fa si finisce per concentrasi sugli aspetti che solleticano la curiosità, il voyeurismo, in taluni casi il pietismo. Ciò di cui si dovrebbe parlare, tra l’altro, sono gli aspetti legali e medici. Bisognerebbe smascherare un sistema, quello italiano, che medicalizza e affida la vita delle persone alla discrezionalità di terzi (medici e giudici), che, per legge, non permette l’autodeterminazione costringendo ad affrontare percorsi burocratici ed esistenziali penalizzanti, sfibranti, lunghissimi e costosi. L’Italia soffre di una situazione a macchia di leopardo – regione che vai, procedure che trovi. Addirittura le cose cambiano di provincia in provincia, da un consultorio, un ospedale all’altro. È un ginepraio inestricabile. La scuola non informa correttamente, non lo fanno i media mainstream, lo Stato se ne lava le mani? Dobbiamo riempire il vuoto noi. I social e, più in generale il web, sono strumenti utili allo scopo – basta utilizzarli con consapevolezza, conoscendone limiti e potenzialità.
Media e linguaggio errato nei confronti delle persone trans: dove finisce l’ignoranza e dove inizia la volontà di ferire?
Tutti sbagliano il linguaggio e le definizioni, il problema è trasversale. La comunità LGBTQ+ stessa “ignora”, consapevolmente o inconsapevolmente. Si va, come dicevo prima, dal pietismo allo stigma. Il transgenderismo accende gli animi, li solletica o disgusta, ma è ovvio che sia così: la cultura italiana non ammette nulla che sfugga il binarismo biologico maschio/femmina (in quest’ordine), l’eteronormatività. Persino l’omoaffettività o addirittura la sessualità tour court è un problema, un tabù – il trasgenderismo, specie quello che esce dagli schemi, dal dualismo etero ed omosessuale, è destabilizzante, tra tutte le espressioni, condizioni umane, è la più sfuggente e insubordinata. Per questo serve mostrare, ma ancora di più è necessario spiegare, informare, fare quel lavoro culturale che tanto terrorizza chi non si è ancora reso conto che siamo nel ventunesimo secolo.
Riassegnazione chirurgica dei genitali primari: dal placet della psichiatria alla scelta se farla o meno. Vuoi chiarire un po’ le due questioni?
Il placet non arriva dalla psichiatria, essa semplicemente certifica la disforia di genere. I giudici, vista la documentazione in cui non può mancare tale certificazione, sulla base delle proprie arbitrarie opinioni, “concedono” l’autorizzazione a sottoporsi agli interventi cosiddetti demolitivi – isterectomia e mastectomia, nel caso degli FtM. Ecco l’orrore: dall’imposizione di affrontare interventi chirurgici demolitivi (mutilanti e sterilizzanti) per poter ottenere il cambio dei dati anagrafici (un odioso e criminale ricatto), alla discrezionalità (il potere assoluto) affidata a terzi, costretti a decidere della vita degli altri (in base ai propri umori e ai propri preconcetti) mancando una normativa che li guidi con chiarezza, sollevandoli da una responsabilità (un potere) che credo non debbano avere. La legge 164 del 14 aprile 1982 non prevede un regolamento di applicazione, tuttavia i giudici ne danno un’interpretazione restrittiva imponendo gli interventi chirurgici quali condizione necessaria per poter concedere l’adeguamento dei dati anagrafici. Sentenze recenti hanno sancito la non obbligatorietà di sottoporsi agli interventi chirurgici, tuttavia la legge non è mutata e qualunque giudice può applicarla come crede con costi enormi in termini economici ed emotivi per chi lo incontri. Si può ricorrere e si vince, ma a un prezzo inaccettabile. Parliamo di interventi complessi, pericolosi, costosissimi, non necessari se non desiderati dalle persone che transizionano, se non funzionali al loro esclusivo interesse, al loro benessere psico-fisico. Lo Stato omo e transfobico, paternalista, eteronormato e sessista se ne lava le mani, non legifera (e forse è meglio così perché quando si esprime sui temi che riguardano l’autodeterminazione fallisce miseramente) e affida il futuro delle persone trans alla ruota della fortuna. Stato di diritto? Neanche in sogno.
Parliamo di genere e generi: a chi giova la fissità maschio/femmina e perché le professioni nulla c’entrano con il sesso delle persone?
Non giova a nessuno, ma la paura fa novanta – la paura di perdere potere, privilegi, controllo, la paura di non potersi più credere superiori, unici depositari della verità, del verbo. La paura di non poter più decidere per gli altri, cosa è bene e cosa è male, cosa è giusto e cosa è sbagliato, chi sta sopra e chi sta sotto. Se sostieni, ti riconosci in una cultura discriminatoria e coercitiva, hai in essa sempre la possibilità di crederti migliore di qualcun altro, puoi sempre (conformandoti) aspirare a migliorare la tua posizione sociale – diversamente sei quel che sei, nulla più, un proscritto. Per alcuni questa condizione è, fra tutte, la più terrorizzante. Il sesso o, meglio, il genere usato come discriminante, è solo una scusa, un mezzo per dividersi tra chi ha diritti e chi non ne ha, chi ha il potere e chi non ce l’ha.
Chi è Ethan, per chi non lo sa?
Ethan sono e ancor di più sarò io: un essere umano in pace con il suo corpo – incrollabilmente in cammino.