Che culo!
Carissima Leah,
mi domanda delle mie sedute psichiatriche: ebbene, non mi sono avvalsa di un sostegno specialistico fin dal crollo psicologico, perché pensavo che il mio disagio sarebbe passato in poco tempo, che potevo saperne di cose come la depressione maggiore? Invece non potei fare a meno di chiedere aiuto, ero disperata; prima di allora non ero caduta tanto in basso.
Chi mi prese in cura mi diagnosticò un disturbo bipolare di tipo II e mi prescrisse di volta in volta una serie di antidepressivi che avrebbero dovuto incrementare i livelli di serotonina presenti nel mio organismo, ma l’unica cosa che aumentò fu il mio peso corporeo: in poco tempo misi su circa 20 chili. Uno degli psichiatri che mi seguivano mi disse che appartengo a quel 30% circa di persone che non traggono beneficio dagli inibitori della ricaptazione della serotonina e ricordo che esclamai: “Che culo!”
Fu difficile trovare una cura che potesse giovare ai miei bruschi sbalzi d’umore, così divenni una specie di cavia: “Provi questo per un mese, poi ci rivediamo.” e tutte le volte la stessa storia: “Dottoressa, niente da fare, non funziona.” Poi fu la volta del litio: dopo averlo assunto per un anno circa, lo psichiatra che mi aveva in cura si rese conto che non agiva quanto avrebbe dovuto, così mi fece provare un farmaco antiepilettico con blandi effetti antimaniacali; se le dico che la psichiatria non è ancora riuscita a capire come questo farmaco riesca ad attenuare le alterazioni dell’umore, mi crede?
Quando cominciai a documentarmi sulla bestia che mi abita, rimasi sconvolta nello scoprire che la sindrome maniaco-depressiva è una malattia di origine genetica che appartiene alla sfera dei disturbi affettivi; ero distrutta. Pensai a me come a un giocattolo rotto, a un meccanismo che si è inceppato, cominciai a chiedermi in quale periodo dell’infanzia la mia mente fosse stata corrotta e da chi, e mi crollarono addosso almeno 5 decenni di vita, la ricostruzione dei quali fu dolorosissima; le mie sedute nella stanza della terapia erano lunghi monologhi in cui il dolore mi provocava pianti dirotti. Una domanda su tutte non trovò né troverà mai una risposta: “Perché proprio a me?”