Cecilia d’Avos. Dal matrimonio etero al lesbismo
di Lidia Borghi
Questa è la versione originale del testo pubblicato su Tempi di fraternità del mese di aprile 2016
Quadro in una grande azienda, madre, compagna e lesbica. Poi? Chi è Cecilia per chi non la conosce?
Beh, ci sono tanti aspetti di me: l’attivismo LGBT* ovviamente, ma anche alcune passioni: ad esempio la panificazione con il lievito madre o la musica (ma anche il lavoro artistico e il percorso spirituale) di Franco Battiato. E poi c’è la nuova avventura del Counseling. Insomma, sono tante le cose che mi impegnano e mi entusiasmano.
Il tuo percorso esistenziale ti ha condotta alla presa di coscienza di essere omosessuale ad un certo punto della tua vita. Che accadde?
La frase di Steve Jobs dice tutto: “Non è possibile unire i puntini guardando avanti; si può unirli solo dopo, guardandoli all’indietro”. A quasi quarant’anni – mamma di due bellissimi bambini – ho iniziato a ripercorrere ricordi che fino a quel momento avevo relegato in un angolo: l’innamoramento per la mia compagna di banco delle medie, l’intervento delle famiglie per allontanarci, quando le suore ci trovarono abbracciate durante l’intervallo. Episodi che sono tornati a urlarmi dentro, forse per aiutarmi a far luce su certi turbamenti che nel frattempo stavano nascendo, e che non trovavano posto nella vita che avevo immaginato. Mi ero sposata con convinzione ed ero (sono!) felice dei miei figli, ma evidentemente non era possibile rimuovere realmente una parte così profonda di me.
Solo dopo molto tempo, e con fatica, ho dato un nome a quei sentimenti. In fondo era proprio “l’amore che non osa dire il suo nome” per dirla con Oscar Wilde.
E poi fu la volta della fondazione di Rete Genitori Rainbow. Quando ebbe inizio l’avventura? Chi, di preciso, ne fa parte? Perché è bene distinguere la vostra onlus da altre associazioni attive sul territorio nazionale?
Nel 2010, avevo da poco finito di collaborare alla realizzazione di un evento importante nel mondo lesbico: le “Cinque Giornate Lesbiche”, mi telefona Fabrizio Paoletti e mi propone di far qualcosa “per i genitori come noi” all’interno di Famiglie Arcobaleno, l’associazione a cui aderivamo entrambi.
Avevo nel cassetto un’idea simile e iniziammo a lavorare al progetto. Purtroppo però non fu accettato dall’allora direttivo di Famiglie Arcobaleno: ci dividevano due punti essenziali, la gratuità dei servizi e la garanzia dell’anonimato. Li ritenevamo indispensabili per accogliere genitori spesso all’inizio del percorso di consapevolezza. Di fronte al rifiuto, assieme a Valentina Violino e Alessandro Ozimo (che ricordo sempre, e che ci ha lasciati nel dicembre del 2012), decidemmo di andare avanti comunque.
Rete Genitori Rainbow nasce da noi quattro soci fondatori, il 14 febbraio 2011. Una associazione di volontariato basata su dei principi che oggi posso definire rogersiani: l’accoglienza, l’ascolto, il non giudizio, la fiducia nelle capacità di sviluppo delle potenzialità della persona.
Ricordo con entusiasmo l’avvio dei primi servizi: il forum online, poi la linea di ascolto telefonica a cui, dopo poco, si affiancano in molte regioni i gruppi di auto-mutuo-aiuto e gli incontri di socializzazione. In seguito arrivò l’organizzazione di eventi culturali, la formazione, la partecipazione ai bandi, e mille altre attività.
Mi chiedi cosa distingue la nostra associazione da altre del mondo omosessuale. Credo sia soprattutto la focalizzazione sulla persona-genitore e sulla sua galassia di affetti.
Siamo ovviamente in prima linea nel chiedere diritti, ma la nostra azione quotidiana è volta in particolare a dare sostegno ai tanti genitori LGBT e loro compagn*, nel rispetto dei loro tempi e delle loro scelte, offrendo una rete e degli strumenti affinché possano prendere in mano la propria vita.
In questi giorni si parla molto dei “100mila figli di persone omosessuali”, oramai è chiaro che la grande maggioranza di quei figli sono nella condizione dei nostri: hanno due genitori di cui un* si è riconosciuto/a LGBT. I nostri ragazz* hanno i diritti, ma vivono difficoltà connesse all’omofobia sociale e familiare, spesso dello stesso genitore omosessuale. Serve formazione a tutti i livelli, nelle scuole, agli assistenti sociali, nei tribunali. C’è bisogno che chi viene a contatto con le nostre vite, ad esempio nell’iter di una separazione legale, sappia almeno l’ABC, per non trovarci ad avere a che fare con chi scambia identità sessuale con orientamento.
Sul tuo sito personale (http://www.ceciliadavos.com) affermi di esser giunta alla versione 4.1. Mi interessa il come di quel tuo traguardo.
Mamma mia da quanto tempo non metto mano a quel sito, saranno anni. Continuo a tenerlo più per nostalgia, ma oramai non mi rispecchia granché. Nel frattempo sono arrivata alla versione 7.5, no dai scherzo!
In realtà non ho un traguardo raggiunto o da raggiungere. Temo di deluderti, ma a quasi 56 anni spero di lasciare presto il testimone dell’associazione a chi voglia portarla avanti mantenendone l’identità, senza farla diventare la copia di una delle tante associazioni che già esistono. Qualcuno o qualcuna che abbia ben presente cosa caratterizza una associazione di volontariato, che abbia chiaro come l’avere la tessera Rete Genitori Rainbow significhi impegnarsi per persone che oggi non si conoscono, ma che domani ci telefoneranno o ci scriveranno una mail in cerca di supporto.
E poi voglio avere più tempo per le mie passioni, per i miei figli, per la mia compagna, per mio padre …e per andare più spesso in Repubblica Ceca, dove mia figlia si è trasferita e dove tra qualche mese si sposerà.
La discussione del DDL Cirinnà è giunto, dopo lunga e penosa attesa, in Senato. Secondo te è adatto al mondo omosessuale italiano oppure è un pannicello caldo?
Mi piace questa espressione “pannicello caldo”, non la conoscevo! Come ha affermato la stessa Cirinnà, quella legge è già un compromesso al ribasso.
Il vero obiettivo di una società civile non può essere che la piena parità di diritti, indipendentemente da qualunque caratteristica della persona, quindi anche dall’orientamento sessuale.
Il mio personale punto di vista è ben riassunto in una frase del documento del RomaPride di qualche anno fa: “Vogliamo tutto per la realizzazione del nostro progetto di vita e d’amore; per noi, i nostri affetti, le nostre famiglie e i nostri figli: dal matrimonio civile per le coppie formate da persone dello stesso sesso, su un piano di piena uguaglianza formale e sostanziale con quello delle coppie eterosessuali, al riconoscimento delle differenti forme di affettività e relazioni che ciascuna e ciascuno di noi possa scegliere liberamente”.
La legge Cirinnà deve passare – e senza alcun dubbio con dentro la stepchild adoption – ma queste unioni civili non si possono certo definire “piena uguaglianza”.
Ti va, in conclusione, di parlare un poco della tua parte spirituale? Che c’entra con uno dei più grandi cantautori italiani, Franco Battiato?
Come la stragrande maggioranza di persone nel nostro paese, sono cresciuta in una famiglia cattolica, e dopo fasi alterne me ne sono distaccata. Oggi sto pensando allo sbattezzo, che vedo come un momento di liberazione. Tuttavia non mi definisco atea. C’è un mondo di ricerca spirituale che mi attrae, e di cui sono completamente ignorante. Quanto a Battiato – ti ho già detto quanto ne sia appassionata – lo seguo da quando ero ragazza: ricordo un articolo su una rivista musicale degli anni ’70, in cui si parlava di questo personaggio che ripeteva una stessa nota per decine di minuti. Oltre ad aver sempre seguito il suo lavoro musicale, più di recente ho iniziato ad ascoltare le sue conferenze, ad interessarmi ai pensatori che cita, ad avvicinarmi ai libri che suggerisce, a leggere i testi delle canzoni sotto questa nuova luce. E mi si sta aprendo un mondo, ancora tutto da esplorare.