Breve analisi dei dolcificanti naturali
Si chiamano Monellina, Taumatina, Brazzeina, Pentadina, Mabinilina, Curculina e Miracolina o Miraculina, sono sostanze proteiche presenti in altrettanti frutti di piante africane o asiatiche e sono famose per il loro grande potere dolcificante, da cinquecento a tremila volte più alto di quello dello zucchero.
La Monellina, il cui nome scientifico è Dioscoreophyllum cumminsii, è la proteina presente nei frutti rossi di una pianta che cresce nell’Africa occidentale. Quando venne sintetizzata, il prodotto che ne risultò era più stabile di quello presente in natura, il quale perde molto del suo potere dolcificante se sottoposto a temperature superiori ai 50° centigradi. Rispetto al saccarosio è in grado di edulcorare fino a tremila volte in più con un apporto calorico vicino allo zero.
Lo stesso vale per la Taumatina, la sostanza proteica che si trova nella Thaumatococcus danielli, una pianta il cui habitat naturale è quello delle foreste pluviali dell’Africa occidentale. La sua caratteristica di dolcificare – senza danni per l’organismo – supera quella dello zucchero di circa duemila volte e l’Unione Europea ne ha approvato l’uso in dessert, gelati senza zuccheri aggiunti, alcune bevande non gasate e diversi tipi di gomme da masticare.
La Brazzeina e la Pentadina – isolate l’una nel 1994 e l’altra nel 1989 – si trovano invece nella pianta denominata Pentadiplandra brazzeana, assai diffusa in zone africane come il Gabon e il Camerun ed hanno un potere dolcificante un po’ più basso, all’incirca cinquecento volte superiore a quello dello zucchero comune.
La Mabinilina è la proteina rinvenuta nella pianta cinese Capparis masaikai. Questa contiene ben quattro sostanze edulcoranti, fra le quali quella in oggetto è stata sintetizzata dando vita ad un potente dolcificante che resiste al calore molto più della corrispondente glicoproteina originale.
Veniamo alla Curculina, che si trova all’interno della Curculigo latifolia, un arbusto della Malesia. Essa ha le stesse proprietà presenti in Brazzeina e Pentadina e possiede la particolare caratteristica di trasformare i sapori acidi in dolci, il che la rende del tutto simile alla Miracolina o Miraculina.
Presente in natura nelle bacche rosse della pianta africana Synsepalum dulcificum, appartenente alla famiglia delle Sapotaceae (per saperne di più: Martin, Franklin W., Carl W. Campbell and Ruth Ruberte. Perennial Edible Fruits of the Tropics: an Inventory. U. S. Department of Agriculture, Agriculture Handbook no. 642, 1987), essa trae il suo nome dal fatto che, malgrado non abbia sapore alcuno, ha la capacità di addolcire i cibi aspri o acidi. Da qui il nome di “frutto del miracolo” (in inglese “Miracle Fruit”) conferito alla bacca che contiene questa proteina dall’insolita proprietà. Il motivo per cui ciò avviene è sconosciuto ai più, anche se le papille gustative vengono per così dire ingannate e, se si mastica un “frutto miracoloso”, l’effetto addolcente è in grado di durare a lungo, anche per un’ora.
La caratteristica non proprio positiva che accomuna questa alle altre glicoproteine descritte fin qui è la diffusione assai limitata, dal momento che le piante che contengono queste sostanze dolcificanti possono crescere solo nel loro habitat naturale.
Una curiosità riguarda il fatto che nel quartiere giapponese Ikebukuro di Tokio esiste un locale, il “Miracle Fruit”, in cui i dolci venduti al pubblico non contengono zucchero. Meta preferita di diabetici e persone in grave sovrappeso, il bar in questione offre ai suoi avventori la piccola bacca rossa contenente Miracolina, da masticare prima di gustare gli amari dessert preparati in cucina. Ebbene, a causa dell’effetto della glicoproteina sui recettori del gusto posti sulle papille gustative, essi sembreranno zuccherati. L’inganno e il conseguente effetto benefico per l’organismo sono assicurati. Provare per credere.
Una grande questione etica è stata, invece, sollevata a proposito di quella che viene definita biopirateria. Come è noto, nessuna sostanza naturale può essere sottoposta a brevetto, dato che madre natura appartiene a tutti gli esseri viventi, ecco spiegato il perché del lavoro, spesso lungo, di sintesi atto ad isolare le sostanze naturali che, come nel caso delle glicoproteine, possono giovare all’organismo o, addirittura, debellare alcuni tipi di tumore, grazie a comprovate proprietà chemioterapiche (si vedano gli studi sulla Gravìola).
Nella fattispecie, i principali enti internazionali che si battono per il bene del pianeta Terra hanno lamentato il fatto che oramai si sprecano i furti – messi in atto dai centri universitari di ricerca o dalle multinazionali del farmaco – a danno delle secolari conoscenze in campo biomedico che sono custodite in molte parti del mondo, soprattutto nelle foreste pluviali. I brevetti concessi non prevedono alcun compenso per le popolazioni indigene, le quali si vedono depredate in modo sistematico di saperi che dovrebbero appartenere all’umanità intera.
L’ennesimo ammonimento affinché l’Uomo usi in modo etico i beni comuni del Pianeta è stato ignorato. Viene, a tal proposito, in mente il racconto fantastico “La sfera che rimpiccioliva” di Willard E. Hawkins. In esso viene trattato il tema, per noi assai attuale, delle conseguenze di un consumo smodato delle risorse del pianeta Terra. Varrebbe la pena di leggerlo per rendersi conto che scienza e fantascienza, come spesso accade, non sono poi così lontane l’una dall’altra.