Battagliare per sopravvivere. Vita e attivismo di Monica Romano, donna T*
di Lidia Borghi
38 anni, di Milano, Monica parla con calma e soppesa le parole per non veicolare concetti che potrebbero essere fraintesi. La voce trema appena se il ricordo tocca i momenti più difficili della sua vita di studente: il bullismo, la violenza, l’indifferenza del corpo docente, la discriminazione, la marginalizzazione, la solitudine, l’isolamento. Tutto ciò lo racconta nel romanzo di formazione Trans. Storie di ragazze XY, il suo secondo libro.
«Alle persone T* (abbreviazioneche indica i soggetti transessuali, transgender e Gender non Conforming) non si dovrebbe chiedere a che età ci si è accorte di essere T*, perché non c’è un momento in cui te ne rendi conto, lo sei e basta, invece intuisci che qualcosa non va nel contesto che ti circonda, al quale io non appartenevo per via del mio modo di essere.» Il problema nasce da questa distinzione non da poco, perché a rappresentare il vulnus è l’identità personale delle persone T* con i loro comportamenti e desideri, fra i quali quello di cambiare il proprio corpo, che risulta dissidente rispetto a una presunta norma sociale.
L’attivismo umano e civile di Monica ha inizio nel 1998, a 19 anni, quando una militante, Deborah Lambillotte, la introduce in quel difficile mondo di volontariato e bocconi amari da ingoiare. Monica non è ancora Monica e, grazie alla donna, comincia il percorso di transizione e riattribuzione di genere da maschio a femmina fatta di terapie ormonali, cambiamento fisico e psicologico; «L’impegno civile» dice Monica, «aveva lo scopo di abbattere la mia marginalizzazione: dovevo capire che una ragazza transgender andava incontro a una serie di barriere che ostacolavano la sua vita, il suo futuro, l’accesso agli studi, a quello del lavoro.» Così, mentre fa la volontaria, Romano impara a ricostruire se stessa all’interno del cambiamento fisico, prova a scardinare la convinzione che la donna T* debba prostituirsi a tutti i costi e, con la sua “rivoluzione copernicana”, diventa un esempio per molte persone: si iscrive alla facoltà di Scienze politiche, a diversi corsi di formazione e comincia ad ambire a un altro tipo di vita.
Il suo impegno civile è diventato una cosa sola con la sua vita, un imperativo categorico, un faro che illumina un cammino accidentato tutto da scrivere in quanto pionieristico. Di questo e di tanto altro parla nel primo libro, Diurna. La transessualità come oggetto di discriminazione, che è la rielaborazione della sua tesi di laurea sotto forma di saggio.
La sua terza opera, Gender (R)evolution, è uscita nel 2017 e alterna racconti di vita personale e testimonianze a brevi saggi politici rivolti alle persone addette ai lavori e all’opinione pubblica: «So che si tratta di temi non semplici; le persone ti si avvicinano con la loro forma mentis e diventa difficile trasmettere loro certi concetti.»
Chiedo a Monica che cos’abbia provato dopo la condivisione in rete del famoso articolo contro le donne trans da parte di Arcilesbica nazionale ad agosto del 2017 e lei mi risponde che si è esposta a livello pubblico con un lungo post su facebook in cui, fra le altre cose, ha chiesto alle presunte socie T* di Arcilesbica di far sentire la propria voce, quindi, a ottobre scorso ha avuto un duro confronto con la presidente dell’associazione che l’ha lasciata delusa e affranta. «Sai,» mi ha detto, «un conto è se è Adinolfi ad affermare determinate cose, un altro è se quelle che fino al giorno prima consideravi compagne di lotta, quasi delle sorelle, ti dicono che non ti vogliono nei loro gabinetti; si è venuto a creare un nuovo apartheid: i bagni per le donne cisgender (il neologismo indica le persone che sono a proprio agio con il genere di nascita.) e i bagni per le donne T*.»
Non è finita qui: il 12 gennaio scorso la stampa divulga la notizia di una lettera di Arcilesbica indirizzata alla segreteria del PD in cui le firmatarie chiedono, fra l’altro, che vengano vietate le cure ormonali alle/agli adolescenti T*: «Si tratta di una richiesta molto grave;» lamenta Romano, «prima di scrivere una lettera del genere, avrebbero dovuto interpellare le esponenti delle associazioni trans che hanno lavorato con loro per tutti questi anni. Puoi immaginare il guasto che hanno causato: lavoriamo ogni giorno con le/gli adolescenti, soprattutto con le loro famiglie, con gli psichiatri, con i giuristi per costruire un sistema, una rete che permetta loro di autodeterminarsi e di fare la transizione in piena coscienza; è un lavoro assai delicato e quella lettera potrebbe vanificare il nostro lavoro. Quello scritto è di una gravità inaudita e ne informeremo il PD; siamo di fronte a uno scontro culturale? Bene, la nostra sarà anche una battaglia strategica. Bisogna difendersi.»
Infine chiedo a Monica che cosa pensa degli attacchi di Bergoglio alle persone T* e lei mi risponde che la posizione del Pontefice non fa che confermare una linea di condotta iniziata da Ratzinger, per cui non ravvisa grandi novità rispetto al passato e conclude: «Per quanto mi riguarda Bergoglio può dire quello che gli pare, è solo il capo di una confessione e, come tale, non dovrebbe ingerire nella vita dello Stato; il movimento LGBT+ farebbe bene a riappropriarsi con molta forza delle istanze di battaglia per la laicità delle Istituzioni, cosa che spesso non fa.» (http://www.monicaromano.it/)