“Amici, complici, amanti”, un evergreen del cinema gay
C’è un giovane uomo gay ebreo che vive a New York, dove lavora come Drag Queen in un locale; Arnold, questo è il suo nome, ha un rapporto conflittuale con la madre, che non concepisce l’omosessualità, quindi ne nega l’esistenza. Questa, molto in breve, è la vicenda del protagonista del film “Amici, complici, amanti” (in inglese “Torch Song Trilogy”), interpretato da Harvey Fierstein nei panni di Arnold Beckoff; al suo fianco una straordinaria Anne Bancroft, che impersona la madre, Brian Kerwin, che interpreta Ed e un giovanissimo Matthew Broderick che recita nel ruolo di Alan.
Arnold è un uomo romantico e affettuoso che desidera incontrare l’amore vero e ha chiuso con le storie da una botta e via; una sera, dopo aver cantato sul palco insieme alle colleghe Drag Queen, smette i panni della sua personaggia, “Virginia Ham”, entra in un locale per gay, incontra Ed e rimane folgorato: lui è l’uomo che ha sempre desiderato, dolce, gentile, amorevole, sexy, alto, con i capelli biondi e teneri occhi azzurri, tuttavia la loro relazione non inizia nel migliore dei modi, infatti Ed è bisessuale, ha una ragazza e, nel corso del film, la sposerà, perché anela a una vita normale che non avrà mai.
Durante uno dei tanti spettacoli in cui canta con la sua ruvida voce baritonale, Arnold conosce Alan, un suo giovane fan che si è innamorato di lui; il film potrebbe chiudersi qui, un bel “e vissero felici e contenti” e tutti a casa, invece no: Arnold è una persona tormentata che non ha ancora superato il dramma dell’abbandono, la sua è una vita fatta di contrasti, di sensi di colpa e a tratti di disperazione che perlomeno non gli impediscono di vivere la vita come lui la intende. Questi e altri elementi fanno di “Amici, complici, amanti” una delle pellicole a tema gay più belle e intense mai girate, in cui il dramma e la commedia si mescolano in modo magistrale.
A mano a mano che la storia si dipana, il regista Paul Bogart ci mostra Alan massacrato da una gang omofoba proprio nel giorno in cui lui e Arnold vanno a vivere insieme, la disperazione del protagonista e l’adozione di un ragazzo disadattato.
A rinfocolare la sua afflizione arriva la madre, tenace sostenitrice della famiglia canonica, che disprezza il figlio gay ed è incapace di aprire gli occhi per vedere che oltre il suo misero orticello di donna ebrea legata alle tradizioni c’è un mondo di amore e complicità; il loro è un rapporto fatto di litigi feroci nei quali Arnold le chiede di non essere cattiva con lui; ogni volta la sua richiesta rimane lettera morta, ma il suo sconfinato desiderio di amare, pur se intaccato da anni di provocazioni, non verrà mai meno; le battute feroci che si scambiano sono offensive, ognuno rimane con fermezza sulle proprie posizioni e l’incomunicabilità li accompagnerà sino alla fine, quando la madre accetterà l’orientamento sessuale del figlio, anche se non ne capirà il motivo. In una delle scene più intense del film Arnold le urla: “Questa è la mia vita, lo capisci, mamma? Questo sono io e voglio rispetto.”
Perciò nella vita di Arnold l’umorismo è importante, perché è chiamato a tamponare il sangue delle sue ferite esistenziali e ad abbattere il muro che lo separa dal suo diritto a una vita di sentimenti autentici.
“Amici, complici, amanti” è tratto dalla commedia autobiografica “Torch Song Trilogy”, che Harvey Fierstein ha scritto e interpretato a Broadway più di mille volte, facendo quasi sempre il tutto esaurito e solo in seguito ne ha tratto la sceneggiatura per la trasposizione cinematografica; in essa troviamo lo stesso Arnold divertente e commovente che prova a ricucire il suo rapporto con una madre omofoba, testarda e cattiva.
Anche a teatro il punto di forza è l’umorismo: le battute pungenti, l’arguzia irresistibile e l’ironia micidiale fanno di “Torch Song Trilogy” qualcosa di unico nel suo genere, insieme alla tenerezza e alla gentilezza di un omone che si sente perso senza quel sentimento che la società glie nega perché non lo riconosce come tale.