Accogliere è scardinare i pregiudizi
Intervista di Davide Pelanda per Tempi di fraternità
Lidia, che cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?
A luglio del 2011 venne pubblicata sul web la prima indagine italiana riguardante l’omosessualità vissuta da parte di alcuni famigliari di persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali credenti, grazie al Progetto Gionata su fede e omosessualità. Il frutto di quasi quattro mesi di lavoro vedeva la luce e, durante quel periodo per me tanto proficuo, ebbi l’onore di conoscere di persona le due madri – Mila ed Ursula – che mi hanno donato le dichiarazioni più profonde, quelle che sono confluite dapprima nel video e, tre anni più tardi, nel libro L’amore autentico. Nel primo è presente un cammeo di don Andrea Gallo e nel secondo compaiono la prefazione della pastora valdese Letizia Tomassone e l’introduzione di Franco Barbero. Le storie di queste due madri meritavano di essere divulgate per intero poiché – ne sono convinta ora più che mai – solo le testimonianze dirette sono in grado, per la loro grande forza comunicativa, di incarnare quel “bisogno di verità” – sono parole della filosofa Nicla Vassallo – che può scardinare anche i pregiudizi più resistenti alla prova del cuore.
Che cosa vuol dire per te vivere schiettamente il Vangelo di Gesù Cristo?
Intanto è la cosa più difficile per qualsiasi essere umano ed io non sono da meno; malgrado ciò, per me significa anteporre l’amore a tutto il resto, con quel che ne consegue: vivere quell’amore nel prossimo, anche quando la rabbia sembra sopraffarmi, anche quando le difficoltà quotidiane mi soverchiano. Ed è allora che provo ad interiorizzarmi, per accogliere dentro di me l’Energia cosmica, abbracciarla e ripartire, rigenerata nell’anima. Don Andrea Gallo, a proposito della preghiera del Padre Nostro, soleva dire che le parole in essa contenute sono rivoluzionarie, poiché inchiodano le persone credenti alle proprie responsabilità di individui cristiani; pertanto, a meno di non essere del tutto convinte/i di poterle mettere in pratica, asseriva che sarebbe bene fare dell’altro. E, quando parlava di convinzione, non si riferiva alla ripetizione meccanica delle suppliche devozionali, ma alla chiamata del Divino in noi; è quella a spingerci a mettere in pratica il Vangelo di Gesù Cristo. Quando la sentiamo dentro, nell’anima, diventiamo persone rivoluzionarie. Come San Francesco. Come don Luigi Ciotti. E come don Andrea.
Quanta ipocrisia ti sembra esserci negli uomini di Chiesa e nella gerarchia cattolica? E perché c’è secondo te?
Le testimonianze di fede di quei famigliari, di cui ho avuto l’onore di raccogliere le urla silenziose, nel 2011, mi hanno insegnato a distinguere tra gerarchia cattolica e base, fatta di tanti sacerdoti umili e, spesso, illuminati, come don Piero Borelli, il padre spirituale del Gruppo Bethel di persone LGBT credenti liguri; ad essi io sarò per sempre grata, per essere riusciti a superare la vieta tradizione cattolica imposta da Magistero e Catechesi, pur di offrire un valido aiuto a quante e quanti, lesbiche, gay e transessuali credenti, ad essi si rivolgono in cerca di un ascolto attento e mai giudicante, che possa culminare nell’assoluzione in confessionale. Èquella – ed essa sola – la condizione senza la quale sarebbe precluso loro il più alto rituale cattolico, durante la messa ovvero l’assunzione del corpo di Cristo, attraverso l’Eucaristia. L’ipocrisia esiste ed è, a mio avviso, assai. Ogni volta che mi si domanda il perché, mi è difficile dare una risposta certa, soprattutto perché mi risulta di oscura comprensione il motivo per cui, pur avendo la gerarchia cattolica a disposizione il testo più rivoluzionario che sia mai stato scritto – ovvero il Vangelo – essa continui imperterrita ad andare nella direzione opposta, con la sua chiusura nei confronti dell’amore.
Celebre è stata la frase di Papa Francesco: “Chi sono io per giudicare un omosessuale?” Sembra una frase ad effetto, non credi? Cosa pensi dunque di questo nuovo Papa?
La stampa più critica nei confronti del Vaticano ha definito l’immagine dell’attuale papa come un’enorme macchina mediatica e, in tal senso, la frase che tanto scalpore ha suscitato, in ambiente cattolico, pochi minuti dopo essere stata pronunciata, a molte donne ed a molti uomini cristiani progressisti è suonata davvero come una proposizione ad effetto, prova ne sia il fatto che Bergoglio, subito dopo, nel medesimo contesto pubblico, si è limitato a ribadire di essere un uomo di chiesa che, come tale, segue il Magistero; che in esso siano contenuti i punti più controversi riguardanti l’omosessualità, è un dato incontrovertibile, perciò io non ravviso alcuna apertura nei confronti delle lesbiche e dei gay ma, semmai, una sottolineatura della posizione ufficiale della chiesa cattolica, men che meno un atto rivoluzionario, come da più parti è stato affermato. In ogni caso sarà il tempo a dirci di che pasta sia davvero questo nuovo papa, questo gesuita dall’eloquio sciolto e dalle frasi ad effetto. Trovo davvero difficile, per una persona cristiana progressista, accontentarsi di queste poche attestazioni. Vedremo.
Perché è difficile oggi in Italia essere coppie omosessuali? Puoi riassumere per i nostri lettori i problemi che ci sono in proposito?
Il punto nodale sta nell’assenza assordante del legislatore ovvero del Parlamento, al quale lo Stato laico – noi tutte e tutti – chiede solo di fare il suo dovere: dotare tutte le cittadine e tutti i cittadini, alla luce del dettato costituzionale, di pari diritti umani e pari dignità civile, rispetto alla restante popolazione; ciò pone le persone lesbiche, gay e transessuali, oggi in Italia, nella difficile condizione di non poter accedere al matrimonio egualitario, di non poter usufruire della fecondazione artificiale, di non poter adottare creature e di non poter cambiare il proprio sesso sul documento d’identità, a meno di non subire una mutilazione chirurgica che ne cambi i connotati del genere di nascita. Inoltre, la mancanza di una legge che punisca come aggravanti le violenze di origine omo/transfobica, costringe molte persone a vivere nella paura, al riparo fittizio di vite parallele, in cui persino l’uso delle desinenze deve essere passato di continuo al vaglio della mente, pur di non tradire l’orientamento affettivo e sessuale. Non a caso, per nominare l’ansia derivante da tutto ciò, è stato coniato il termine minority stress, per una spiegazione esaustiva del quale rimando le lettrici ed i lettori di Tempi di fraternitàall’agile libro Citizen gaydi Vittorio Lingiardi, di recente aggiornato e ripubblicato in edizione tascabile per i tipi de Il Saggiatore.
Quante altre storie di sofferenza e di difficile accettazione da parte della Chiesa Ufficiale conosci e che non hai potuto scrivere? Quali sono i denominatori comuni?
Tante. Troppe. Ogni giorno, nella mia attività di pubblicista, vengo a contatto con storie di ordinaria discriminazione religiosa; è sufficiente far parlare le donne e gli uomini di buona volontà che, di frequente, si riuniscono all’interno dei gruppi di persone LGBT cristiane in Italia, per conoscere le vicende di tante e tanti che si sentono esclusi dalla loro Casa – qui la lettera maiuscola è per me d’obbligo, vista la sua altissima valenza spirituale – dall’ecclesia, che è assemblea delle e dei credenti e niente altro. Che cos’hanno in comune tutte e tutti loro? Un atteggiamento meraviglioso, che ha del miracoloso, per me: la volontà di superare la sofferenza provocata da quell’esclusione con positività e con una grande volontà, che ha a che fare con lo studio e l’approfondimento delle Sacre Scritture e con il fermo proposito di educare dall’interno, a partire dalle parrocchie d’appartenenza, tutte e tutti coloro che ne fanno parte, dal sacerdote in poi. Io trovo vi sia, in tutto ciò, una grande speranza per un futuro di comprensione reciproca, nell’amore del Cristo. Questa è rivoluzione interiore e deve cominciare da noi.