A cuore aperto dietro le sbarre
L’esperienza di Maria Laura Annibali nelle carceri femminili della Regione Lazio
Articolo uscito sul numero di febbraio di Tempi di fraternità e pubblicato anche sul sito del DGP
Durante il mese di febbraio del 2012 a Roma venne firmato un protocollo d’intesa che, di lì a poco più di un anno, avrebbe consentito alla documentarista Maria Laura Annibali di far circolare nelle carceri femminili del Lazio i video a tematica lesbica intitolati “L’altra altra metà del cielo” e “L’altra altra metà del cielo… Continua” da lei prodotti. Un traguardo assai importante – per la carriera di volontaria ed attivista dei diritti umani cominciata ormai molti anni fa da Annibali – oltre che un avvenimento unico nel suo genere, che sta permettendo a molte donne recluse di conoscere quei pezzi di lesbicità* che così bene l’autrice è riuscita a far emergere ed approfondire intervistando alcune donne, assai diverse per età e ceto sociale, che hanno in comune l’orientamento affettivo e sessuale lesbico. Quella che segue è l’intervista che Annibali mi ha concesso a dicembre del 2013.
(*) Dobbiamo questa parola, non presente nei dizionari della lingua italiana, all’attivista lesbica del femminismo Edda Billi, co-fondatrice del Collettivo Pompeo Magno di Roma
Buon pomeriggio, Maria Laura; qual è lo scopo del “Protocollo d’intesa tra il Dipartimento per le Pari opportunità del Consiglio dei Ministri e il Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia e il Garante dei Detenuti del Lazio”?
Buon pomeriggio, Lidia; eccoti la parte più importante del testo di quel documento ufficiale, in cui gli obiettivi di questa nostra attività nuova sono esposti in modo chiaro: “Considerato che la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di violenza e discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere nell’ambito penitenziario richiedono la cooperazione di tutti i soggetti istituzionali interessati, ravvisata l’opportunità di attivare una collaborazione tra il Dipartimento per le Pari opportunità e il Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia e il Garante dei Detenuti del Lazio (…) per la realizzazione del comune interesse relativo alla prevenzione e contrasto della violenza e discriminazione nei confronti delle persone LGBT in regime di detenzione e del proseguimento delle comuni finalità istituzionali (…)” Eccetera. Un traguardo davvero importante, a livello civile.
Val la pena di ricordare alle lettrici ed ai lettori di Tempi di fraternità a chi dobbiamo la firma del protocollo.
Certo. La dobbiamo all’allora direttrice di dipartimento dell’ormai scomparso Ministero per le Pari opportunità, la consigliera Patrizia De Rose, al direttore generale del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) Giovanni Tamburino e al garante dei detenuti del Lazio, l’avvocato Angiolo Marroni.
Che cosa ti sta permettendo di fare questo protocollo d’intesa senza precedenti, per il nostro Paese?
Mi sta dando un’opportunità più unica che rara ovvero quella di entrare con i miei docu-film nelle carceri femminili del Lazio – insieme alla psicologa e psicoterapeuta Antonella Montano, direttrice dell’Isituto Beck di Roma – con lo scopo di stimolare le detenute a rivolgerci domande inerenti la lesbicità, subito dopo la proiezione dei video. Questo è il mio modo di pormi al loro servizio, in quanto autrice del documentario, per indurle ad aprirsi e a parlare di sé. Il compito mio e della dottora Montano è quello di chiarire, su richiesta delle dirette interessate, le eventuali problematiche inerenti l’orientamento omosessuale e l’omogenitorialità. Chi meglio di lei avrebbe potuto svolgere questo ruolo, alla luce della sua pluriennale competenza in merito?
Hai all’attivo già due incontri, nella sezione femminile del carcere di Rebibbia, a Roma. Il primo si è svolto il 7 novembre 2013. Le tue impressioni dopo quel giorno?
Sai, allora mi accompagnava Edda Billi, la storica femminista separatista del Collettivo Pompeo Magno di Roma, per non parlare di Angiolo Marroni e di Imma Battaglia. Ho provato una grande emozione, di sicuro… Avevo le lacrime agli occhi… Una delle detenute, inoltre, mi aveva anticipato che di lì a pochi giorni sarebbe uscita e mi avrebbe contattata presto. Così è stato ed è iniziato uno scambio profondo di idee. A livello emotivo quello è stato di sicuro il più bell’incontro di tutti gli oltre cinquanta che fino ad oggi ho fatto. Un insieme davvero notevole di emozioni e di sensazioni. Il fatto di potermi mettere al servizio delle detenute mi ha permesso di provare qualcosa di diverso, di più intimo. Mi sono sentita in pace con me stessa con la convinzione, in quanto credente, di essere lì per un motivo che va oltre… Di esserci perché Qualcuno aveva voluto che io facessi ciò che ho fatto. Ho ritenuto che entrare nelle carceri fosse un mio dovere di fedele. Il mio cuore si è colmato di gratitudine per Chi ha permesso tutto questo. Dal buon Dio alle persone che hanno firmato il protocollo. Tutti individui che hanno fortemente voluto quel progetto, con tutte le difficoltà del caso. Ti assicuro che sono state tante. La mia gratitudine è immensa. Alla fine dell’incontro ero in un vero e proprio stato di grazia. Subito dopo ho chiamato tutte le persone a me care, per dire loro che avrei voluto fossero state lì con me.
Veniamo al secondo evento: Rebibbia, 3 dicembre 2013.
R.: Il secondo evento mi ha offerto emozioni più temperate, anche se il piacere è stato lo stesso, poiché si sono presentate persone che già la prima volta erano intervenute e ciò mi ha dato la conferma che l’interesse c’era ed era autentico, da parte delle recluse. C’erano anche persone nuove ed è grazie a loro che è stato possibile tirar fuori argomenti nuovi. Un bellissimo evento in ogni caso.
Il prossimo convegno collegato al progetto delle carceri?
Durante i primi mesi del 2014, all’interno di uno degli istituti femminili di pena del Lazio, forse a Civitavecchia, anche se non c’è ancora la conferma. Poi andremo a Latina e Viterbo.
So che l’incontro con queste donne ti ha permesso di scoprire che non tutte si definiscono lesbiche.
Infatti. Alcune di esse si sono dichiarate fin dal primo incontro, altre ci hanno fatto capire che avevano dei dubbi in merito a questa faccenda dell’omoaffettività, perché ritenevano che la loro condizione omosessuale fosse temporanea, in quanto dovuta all’obbligo della detenzione. Come a dire che, per carenza di affetto eterosessuale, erano diventate omosessuali in attesa di tornare a casa dai rispettivi mariti o compagni. Gli approfonditi studi di Antonella Montano in merito hanno evidenziato che ciò è del tutto possibile. Inoltre, durante il secondo incontro, il dibattito cui hanno dato vita le persone presenti è stato più articolato e, a tratti, acceso, grazie agli interrogativi specifici proposti, come per esempio quello relativo all’omogenitorialità. Un tema alquanto scottante e di difficile soluzione, nel nostro Paese, a causa dei forti pregiudizi che lo circondano.
So che il tuo appuntamento seguente, in ordine di tempo, è stato speciale…
Sì, il 12 gennaio 2014, presso il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli di Roma. Un onore grandissimo per me, che mi ha riempito il cuore di gioia. Dopo diversi anni tornare lì, in questo momento politico e culturale, mi ha resa davvero orgogliosa. Con l’attuale presidente, Andrea Maccarrone, si è creata una bellissima sinergia che ci sta dando la possibilità di lavorare insieme in armonia. Sono felicissima di aver portato anche lì la mia seconda figlia al completo ovvero video e libro de “L’altra altra metà del cielo… Continua”.
Lidia Borghi